Il successo di
Rafa Nadal a Monte Carlo, dopo due anni in cui non aveva conquistato un solo Masters 1000, ha un peso specifico molto più grande dei suoi precedenti otto trionfi nel torneo del Principato che di fatto apre la grande stagione sulla terra battuta, con tutto il rispetto per l'attività sudamericana (dove Nadal non ha brillato). Prima di tutto perché è arrivato dopo una semifinale, contro
Murray, e una finale, contro
Monfils, di intensità fisica pazzesca. Un'intensità sostenibile soltanto avvicinandosi al vecchio Nadal, sia nella fase difensiva che in quella offensiva. Due partite con diversi tratti in comune, contro avversari che hanno giocato un tennis più aggressivo del loro solito, finendo piegati alla distanza da un Nadal che ha dato l'idea della fatica (le magliette non sudate di
Djokovic dopo cinque ore di battaglia rimangono una prerogativa di Djokovic) ma anche quella di essere ancora lontano dal capolinea. Per lo meno sulla terra battuta, dove le qualità agonistiche riescono a riequilibrare quei pochi centesimi di secondo in meno di reattività che sul veloce sono fatali. Sul piano tecnico il 'nuovo' Nadal è costretto a chiedere di più al servizio e a rischiare molto con il rovescio, cosa che forse intacca certi suoi automatismi ma che almeno gli lascia il pallino in mano e gli fa spendere qualche energia in meno rispetto al passato: chiaramente tutto da verificare in una partita estrema contro Djokovic. Le statistiche, ventottesima vittoria in un Masters 1000 (sono invece 14 nei tornei dello Slam, di cui 9 al Roland Garros), dicono meno delle sensazioni: perché
Federer ha 35 anni e ha in testa solo Wimbledon e Rio, Murray in ogni superficie sembra essere uno straordinario numero 2 (averne di Murray, ovviamente, ma infatti lo stiamo paragonando a mostri), mentre Djokovic sulla terra battuta può avere quelle giornate no che lo rendono vulnerabile con il
Vesely di turno, non diciamo con Nadal, anche se in vista di Madrid, Roma e Parigi il grande favorito rimane lui. Che alla soglia dei trent'anni Nadal sia ancora competitivo al massimo livello, che frequenta dal 2005, sarebbe già una notizia, ma la cosa clamorosa è che quando giocatori così fisici cominciano il declino poi non riescono più a riprendersi, per tanti fattori anche mentali. Non ci sono riusciti
Vilas, Borg, Wilander, Lendl, eccetera: quando la luce si è spenta non si è più riaccesa, per loro. Nadal invece ha qualcosa di diverso, anche rispetto ai fenomeni.