Al sorteggio del mondiale senza un addetto stampa. E' accaduto ad una compagine europea, la Slovacchia, l’unica debuttante tra le 32 squadre presenti in Sudafrica. Un episodio minore ma tutt’altro che irrilevante, simbolo di un movimento calcistico in grande difficoltà. Una volta terminata l’euforia per la grande avventura mondiale, sta per arrivare il brusco ritorno alla realtà.
Al sorteggio del mondiale senza un addetto stampa. Se una cosa del genere fosse successo ad una nazionale africana, si sarebbero letti i soliti commenti relativi alla cronica assenza di organizzazione delle federazioni del continente, all’incapacità di crescere, eccetera. Invece è accaduto ad una compagine europea, la Slovacchia, l’unica debuttante tra le 32 squadre presenti in Sudafrica. Un episodio minore ma tutt’altro che irrilevante, simbolo di un movimento calcistico in grande difficoltà. Una volta terminata l’euforia per la grande avventura mondiale, sta per arrivare il brusco ritorno alla realtà.
Il calcio in Slovacchia è in declino. Ed il primo a saperlo è proprio il ct della nazionale Vladimir Weiss, il cui nervosismo palesato durante tutta la kermesse sudafricana era frutto delle condizioni ambientali in cui lavorava da diversi mesi. Improvvisazione, scarsa capacità gestionale, superficialità: questi i capi di accusa nei confronti della Federcalcio slovacca.
“Il calcio in Slovacchia è rimasto indietro di vent’anni”, afferma l’ex nazionale Lubomir Moravcik (42 presenze nella Cecoslovacchia, 37 nella Slovacchia). “Non ci sono soldi, né stadi moderni, né infrastrutture”. Si tratta di un circolo vizioso. I giovani partono per l’estero già in tenerissima età: a sedici anni Miroslav Stoch è andato nell’Academy del Chelsea, mentre il figlio del ct Vladimir Weiss ha scelto quella del Manchester City. A 17 anni Marek Hamsik firmava per il Brescia. La fuga di talenti impoverisca il già modesto livello della Corgon Liga, la massima divisione slovacca, svuotando gli stadi e, di conseguenza, le casse dei club.
I numeri non mentono. Dei 23 selezionati da Weiss per il Sudafrica, solamente due elementi (Kamil Kopunik e Kornel Salata) giocano in patria. Dove lo Spartak Tranava detiene la media spettatori più alta con 5500 presenze, seguito dalle 4000 dello Slovan Bratislava e dai 3700 dei campioni dello Zilina, gli unici che possono permettersi uno stadio moderno grazie alle notevoli disponibilità del proprio presidente. Il club slovacco è ora atteso dalla grande avventura in Champions League. Attorno a lui, però, il deserto, o quasi
Lungo la Hlavne Namestie, una delle più rinomate vie del centro storico di Bratislava, le uniche magliette della nazionale slovacca in vendita dei negozi sono quelle con il nome di Marek Hamsik e Martin Skrtel. Non ne esistono altre. E sono meno vendute di quelle della nazionale di hockey su ghiaccio, campione del mondo nel 2002.
La Slovacchia si è separata dalla Repubblica Ceca il primo gennaio del 1993. Una separazione che nessuno ha mai rimpianto. “Il mondo ha finalmente preso atto”, prosegue Moravcik, “che esistevano i cechi e gli slovacchi, due popoli differenti. Eppure per il calcio questa divisione è stata una catastrofe. Il campionato cecoslovacco aveva sempre gli stadi pieni, anche grazie alle rivalità all’interno del paese. Riunificare i due tornei, come da tempo abbiamo chiesto alla UEFA, sarebbe un ottimo punto di partenza per salvare il nostro calcio”.