I successori degli allenatori che hanno ottenuto grandi successi sono sempre stati in una posizione impossibile da sostenere: da Marchesi a Donadoni, la storia dice che è megli aspettare che un tecnico vincente perda...
La solitudine è dei numeri primi, ma soprattutto degli allenatori. Pagati anche per essere capri espiatori di situazioni non dipendenti da loro: errori di calciomercato, logorio dei giocatori chiave della squadra, fine di cicli. Già, perchè gli allenatori che vengono 'dopo' hanno sempre torto a prescindere dal loro valore tecnico.
Senza andare alla preistoria, basti pensare al Rino Marchesi che nel 1986 arrivò alla Juventus dopo il decennio di gloria trapattoniano: campioni in declino o appagati, da Platini a Cabrini, nuovi innesti non all'altezza delle aspettative (su tutti Ian Rush, che arrivò dal Liverpool nell'estate 1987).
Il ciclo successivo fu quello milanista del Sacchi-Capello, un quasi-decennio (1987-1996) in cui la squadra rossonera vinse tutto cambiando pochi uomini. Quando Capello andò al Real Madrid si provò a percorrere strade nuove, con Oscar Washington Tabarez: un'idea di Galliani, che Berlusconi mise in discussione fin dal principio (memorabile la battuta sul 'cantante di Sanremo') e che nonostante il valore di Tabarez fu bocciata dai risultati. La legge dell'allenatore 'dopo' valse addirittura con gli stessi allenatori del 'prima', perché dopo Tabarez sia Sacchi che Capello fallirono miseramente al loro ritorno a Milanello.
Dopo il primo ciclo di Lippi alla Juventus la parte ingrata del successore del...successo toccò ad Ancelotti, che non fece male (due secondi posti, in circostanze discutibili: dal nubifragio di Perugia alle regole sugli extracomunitari cambiate in corsa) ma nemmeno entrò nella storia bianconera. Stesso discorso per Donadoni arrivato nel 2006 sulla panchina della nazionale campione del mondo, per arrivare all'attualità di Benitez. In generale si può dire che quando un ciclo, pur glorioso, finisce senza una grande vittoria (Lippi 2004 alla Juve, Ancelotti 2009 al Milan) l'inserimento del nuovo allenatore avviene più facilmente visto che trova un ambiente meno appagato e meno schiavo del mito.
Dopo una stagione come quella del Triplete, oltretutto in una squadra che non vinceva la Champions da 45 anni, chiunque avrebbe fatto meno. Forse anche Mourinho, se come rinforzi gli avessero dato Biabiany e Coutinho. Conclusione? Dal punto di vista della società è meglio aspettare che un tecnico vincente perda, o vinca meno, prima di cambiarlo. E' vero che Mourinho se ne è andato lui, ma è anche vero che non sono state fatte le barricate per trattenerlo.