Lo spettacolo anche televisivo di Barcellona-Real Madrid è stato di livello tale che qualsiasi tipo di telecronaca sarebbe sembrato superfluo. A maggior ragione quello di Sky, fra l'enfatico e il battutistico...
Barça-Real è stata una delle partite più belle della storia del calcio (e credo che non ci siano dubbi, a qualunque squadra si tenga). E dobbiamo ringraziare Sky per come l’ha seguita, sia nel pre-partita che nel post, con la solita competenza e con ricchezza, quasi sfarzo, nella produzione. Nulla da dire. Però. Però. Però qualcosa da dire c’è. E riguarda non il pre né il post, ma proprio la partita. Ovvero la telecronaca di un evento simile. Perché è stata troppo in stile Sky: parlatissima, enfatica, dettagliata. Alla fine l’evento - e questo è uno dei problemi veri che il gruppo dovrebbe risolvere, se solo gliene fregasse qualcosa - è diventato non la partita, ma la telecronaca. Caressa è il capofila, ma tanti lì dentro sono come lui.
Intendiamoci, Riccardo Trevisani è bravo, è uno dei migliori di Sky per capacità di lettura delle partite, ritmo, espressività della voce, conoscenze tecniche. Ma lunedì non ha avuto la prontezza di capire che una partita del genere non andava raccontata. Andava al massimo accompagnata, alla Martellini per chi se lo ricorda, che spesso diceva solo i nomi dei calciatori che toccavano il pallone. Basta. Per il resto, questo Barça-Real era un cioccolatino da mettere sotto la lingua e da fare sciogliere lentamente, assaporandone tutte le delizie momento per momento, cercando di tenere in bocca all’infinito il gusto di quei colpi di tacco, quei colpi d’esterno, quegli schemi avvolgenti, e anche quelle facce rabbuiate di Mourinho per chi lo detesta (cioè pressoché chiunque). Null’altro. Trevisani doveva spostarsi e lasciarci vedere la partita, doveva lasciare emergere le urla del Camp Nou, di una Catalogna al secondo botto nazionalista in meno di 24 ore dopo le elezioni. Ma che schemi, ma che interpretazioni psicologiche, ma che chiacchiere, cui Trevisani e Altafini si sono più volte abbandonati.
Ecco, perché poi c’è il discorso Altafini, degno sodale di Trevisani nel parlare in tempi e modi inopportuni, come quelle persone che non capiscono quant’è bello il silenzio e quanto una parola, qualunque parola, stoni in certe situazioni. Anche a Josè vogliamo bene. Siamo cresciuti leggendo Brera e Garanzini, grandi cantori di Nereo Rocco, di cui era il centravanti. Ha segnato la storia del calcio italiano e mondiale. Poi è diventato un bravissimo commentatore, anzi seconda voce, chiaro, preciso, capace di far fruttare la sua esperienza capendo le situazioni in campo, e spesso allegro. Solo che col tempo l’allegria ha fatto premio su tutto, e pian piano si è trasformato in un mezzo cabarettista, con tanto di tormentoni (il Manuale del calcio ha rimpiazzato quello delle Giovani Marmotte, nei luoghi comuni). Insomma, ormai preferisce spesso fare una battuta che dire qualcosa di tecnico, oppure sottolinea la bellezza del match. Lunedì, con una sfida così, si è superato, partendo con un "I santi hanno chiesto a Dio un’ora e mezza di pausa per vedersi questa sfida", continuando a coprire le azioni con una serie di complimenti sempre più sperticati per le prodezze di Xavi e Iniesta. Così sperticati che all’ultimo - a corto di iperbole - si è lanciato in un’infausta (per lui) promessa. "Basta, smetto di commentare. Nessun match che vedrò in futuro potrà essere più bello di questo". Josè, guarda che ti prendiamo in parola.
Livio Balestri
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