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Lionel André Messi

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Benedetto da Maradona
Sono passati sei anni, sei anni vissuti intensamente, sei anni da numero uno. È il 16 ottobre 2004 quando Frank Rijkaard fa debuttare nella Liga un diciassettenne dal talento inversamente proporzionale all’altezza. Lionel Messi esordisce nel calcio dei grandi. Lui, piccolo appena 1 metro e 69, allo stadioOlimpico diMontjuic: con il Barça avanti 1-0 nel derbyno contro l’Espanyol, rileva, a otto minuti dalla fine, Deco, l’autore del gol vincente. Passa qualche mese e Leo firma il suo primo gol, uno splendido pallonetto pochi minuti dopo il suo ingresso in campo per Eto’o (e poco dopo l’annullamento di un gol quasi identico per inesistente fuorigioco). Lo segna l’1 maggio 2005, festa dei lavoratori, all’Albacete. Lo subisce il portiere Raul Valbuena (che almeno passerà alla storia per qualcosa…). E lo festeggia in un ideale passaggio di consegne Ronaldinho: il brasiliano con il numero 10, stella del momento del Barça e del calciomondiale, simette in groppa l’argentino con il 30 e lo porta a spasso per il campo per fargli raccogliere l’ovazione del Camp Nou. Il feeling tra i due è forte, supera la rivalità storica tra Brasile e Argentina e fa sì che, quando Dinho nell’estate 2008 passa alMilan, quel numero 10 blaugrana, in passato proprietà anche di altri fenomeni (quattro nomi: Rivaldo, Romario, Maradona e più indietro nel tempo Luisito Suarez), passi sulle spalle diMessi. Tra loro, e altri grandi campioni come Cruijff e Ronaldo che hanno fatto la storia del Barcellona, eMessi la differenza è però sostanziale: Leo è nato e cresciuto nel Barça, non vi è arrivato da celebrata star o da giovane fuoriclasse da consacrare. Ed è questo, forse, che spiega il legame ancestrale tra la tifoseria “culè” e l’asso argentino di nascita, italiano d’origine ma catalano di adozione. Dopo il gol all’Atlético Madrid, nella serata dell’attentato alla caviglia destra da parte di Ujfalusi, Messi è salito a quota 134 gol ufficiali con lamaglia del Barcellona. A 23 anni è il terzo marcatore assoluto nella storia blaugrana. Davanti a lui soltanto Ladislao Kubala (196) e Cesar Rodriguez (235), campioni di un calcio che fu, di quando fare gol era tremendamente più semplice anche se decisamente meno remunerativo. Erede di Ronaldinho, ma anche e soprattutto di DiegoMaradona. I paragoni, illustri e scomodi, in fondo hanno sempre accompagnato la crescita diMessi. Che di suo ci ha aggiunto talento immenso e una spruzzata di scaltrezza per far sì che quegli accostamenti non suonassero blasfemi. Del resto se Dieguito nel giro di pochi minuti firmò all’Azteca contro l’Inghilterra nell’86 il gol più polemico e quello più bello nella storia del calcio, Leo nel giro di poche settimane (anno 2007, da aprile a giugno), si è avvicinato all’originale: il gol al Getafe in Coppa del Re, con slalom prolungato e vincente su cinque avversari, è la fotocopia del capolavoro messicano diMaradona; così come il malandrino gol di mano segnato all’Espanyol un paio di mesi dopo assomiglia tremendamente al “gol-mano-de-Dios” rifilato a Shilton. Fare gol e farli belli è un po’ la missione di Messi. Che raramente segna in modo banale e che pure sa metterci, a dispetto del fisico, la testa. Sì, perché tra i gol più “pesanti” della sua carriera spicca quello, maestoso, segnato di testa all’Olimpico di Roma che suggella il 2-0 nella finale di Champions League contro il Manchester United. Astuto invece il colpo… di petto che nei tempi supplementari decide ad Abu Dhabi qualchemese dopo la finale delMondiale per club contro l’Estudiantes La Plata. Chissà se un giornoMessi giocherà in Italia e non solo da avversario. Sarebbe uno scenario davvero suggestivo visto che nelle vene di Leo scorre un bel po’ di sangue italiano. Mamma Celia Maria fa di cognome Cuccittini, il bisnonnoAngeloMessi partì dalleMarche (dalla leopardiana Recanati) nel 1883 per sbarcare a Baires e trasferirsi poi a Rosario. Enrico Preziosi, presidente del Genoa, sostiene di essere stato a un passo da un quindicenne Messi che nel 2002 fece un provino nel Como. Anche se in realtà Leo, dal marzo 2001, era già tesserato con il Barcellona. Società che attraverso il diesse Charly Rexach, già dall’ottobre del 2000, si rese disponibile a pagare le costose cure per guarire il ragazzo da un deficit nell’ormone della crescita alla base della sua partenza dall’Argentina. Chi stravede per Messi è da sempre MassimoMoratti, che al Barça strappò nell’estate del ’97 Ronaldo e che sogna il bis per far vestire il nerazzurro a Leo. Da quel 16 ottobre 2004, da quella sostituzione per Deco, Messi ha collezionato titoli in campo e soldi in banca. Si calcola che, tra ingaggi e sponsorizzazioni, abbia guadagnato finora più di trenta milioni di euro. Cifra comunque non verificabile a differenza di quella, oggettiva, del suo albo d’oro. Tredici titoli con il Barcellona: 4 scudetti, una coppa del Re, 4 supercoppe di Spagna, due Champions League, una Supercoppa europea e unMondiale per club. Senza tralasciare la soddisfazione personale dell’accoppiata Pallone d’oro e FifaWorld Player nel 2009. Manca semmai, a Leo, la consacrazione con la maglia dell’Argentina. Con la Seleccion dei grandi, due Mondiali da dimenticare e in mezzo una Coppa America strapersa (0-3) in finale contro il Brasile nel 2007. Perché non gli possono bastare un titolo iridato Under 20 (e aveva solo 18 anni quando in Olanda nel 2005 conquistò anche il titolo di capocannoniere con 6 gol in 7 partite e venne eletto miglior giocatore del torneo) e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. I veri crucci di Lionel Messi si chiamanoGermania 2006 e Sudafrica 2010. DueMondiali, due sogni che si sono infranti sempre contro i tedeschi e sempre nei quarti di finale. Quattro anni fa, dopo aver superato i postumi di un brutto infortunio, Leo è la “mascotte” della Nazionale di Pekerman: ha solo 19 anni, cerca di ritagliarsi uno spazio e di conquistarsi un posto da titolare. Entra, serve un assist e segna un gol nel suo debutto contro Serbia-Montenegro, poi gioca dall’inizio contro l’Olanda e più di mezzora nella sfida degli ottavi vinta ai supplementari contro il Messico. Ma nei quarti contro la Germania (sconfitta ai rigori) rimane tutto il tempo in panchina. E peggio va, se possibile, nel 2010: Messi riceve la maglia numero “10” dal suo CtMaradona, regala lampi di gran classe ma non segna lo straccio di un gol. E contro la Germania nulla può fare per evitare la disfatta: 4-0 e a casa. Ci riproverà nel 2014 in Brasile. E per uno che ha lottato e vinto contro i fantasmi di Ronaldinho eMaradona diventa un appuntamento con la Storia. di Matteo Dotto Tratto dal Gs Storie numero 8 - Le stelle di Champions