1 - La storia degli impianti sportivi di tutto il mondo, partendo dallo stadio di Inter e Milan. Che nasce come impianto di proprietà (rossonera) e dopo dieci anni diventa pubblico...
Lo stadio Giuseppe Meazza di Milano è noto in tutto il mondo con il nome di San Siro (dal quartiere dove si trova), con tutto il rispetto per il grande campione degli anni Trenta al quale dal 1980 è intitolato. Ci giocano Inter e Milan, come tutti sanno, in attesa dei fantomatici impianti di proprietà di cui si parla da decenni ma che verranno probabilmente costruiti solo quando il Demanio regalerà (o giù di lì) un'area su cui speculare. Nasce come stadio del Milan, quando nel 1925 ne viene iniziata la costruzione su impulso dell'allora presidente rossonero Piero Pirelli, e viene inaugurato nel 1926 con un derby vinto dall'Inter 6 a 3. Quattro tribune collegate, un solo livello, 35mila spettatori di capienza per una spesa totale che in termini odierni si può valutare in circa due milioni e mezzo di euro (anche se l'attualizzazione di cifre antiche è sempre un'operazione spericolata). Uno stadio di proprietà, per usare termini di oggi, che viene acquistato dal Comune di Milano nel 1935. Lavori pagati con soldi pubblici e tribune che si uniscono formando quello che di fatto è il primo anello di oggi: la capienza è a questo punto di 55mila posti. Dopo la guerra, nel 1947, inizia a giocarvi le sue partite casalinghe anche l'Inter. Nel 1955 viene costruito il secondo anello, con la capienza che sfiora i 90mila spettatori (complice la non numerazione di quasi tutti i posti). Nel 1962 ragioni di ordine pubblico la faranno calare a 85mila e tale rimarrà fino a metà degli anni Ottanta, quando prende corpo l'idea di mettere seggiolini in tutto il primo anello. Con il Mondiale del Novanta arrivano anche il terzo anello, anche se privo di un lato, e i seggiolini ovunque: i posti sono ora interamente numerati e la capienza arriva a quota 85.700. Dopo vari aggiustamenti, ora lo stadio ha 81.389 posti a sedere e rimane uno dei più belli del mondo. Chi lo lascia sbaglia.