Ieri è stato il turno dei tifosi del Cesena, un tempo modello di educazione e di ospitalità. In mille hanno contestato la squadra nel dopopartita, obbligando il presidente Campedelli e capitan Colucci a un incontro a quattr’occhi. I toni, lo immaginiamo, saranno stati secchi, perentori.
Da anni non c’è più scampo alla contestazione dilagante. Una volta si limitava a qualche fischio, agli sfottò nel fine gara, a quell’andate a lavorare come momento di massima rabbia, ora è diventata una triste abitudine quella di presentarsi fisicamente per regolare conti e frustrazioni. In modo fisico, minaccioso.
Appena la squadra non va bene, cosa che la natura prevede nell’arco di un anno, puntuale scattano le incursioni, i capannelli davanti agli spogliatoi. Sabato era toccato ai giocatori della Samp ospitare gli ultras a Bogliasco prima della partita con il Bologna, mentre domenica mattina è scattata la protesta a Roma, fronte giallorosso. Indegni, hanno scritto sui muri di Trigoria. In settimana era stata la volta del Bari, con l’esonero di Ventura preteso dai tifosi. Stessa storia appena pochi giorni prima a Brescia, in quel caso con l’allontanamento di Beretta e il ritorno di Iachini. Si sa, in certe scelte tecniche contano più i violenti dei Direttori sportivi.
A memoria, ma certamente sbaglio per difetto, nel computo devo mettere la tensione a Firenze dopo la sconfitta contro la Lazio, l’aggressione in novembre al Lecce e a Diamoutene (subito venduto, complimenti a Semeraro!), alla Juve dopo la caduta interna con l’Udinese. Ripeto: si è perso il conto ed evito di citare la Serie B o la C. Lo scorso anno, la Samp arrivò in Champions, risultato storico, eppure bastarono un paio di sconfitte per portare anche allora la squadra a subire la visita poco cordiale dei tifosi.
Eravamo partiti dal Cesena: possibile che nessuno tenga conto del miracolo di essere già in Serie A e di non essere spacciati malgrado l’ultimo posto nel monte-ingaggi? Una volta si accettava che realtà come quella romagnola o di Brescia potessere salire e scendere. Si gioiva per Schachner, ma non c’era mai la pretesa di onnipotenza che riscontro oggi, come se vincere fosse un dovere e l'avversario non esistesse. Se perdi sei un traditore della maglia, un infame.
Sarà la non accettazione dei nostri limiti, portati sempre più in là da propaganda, tecnologia e pubblicità. Vogliamo la felicità perpetua, la vittoria continua, la giovinezza, l’immortalità. Basterebbe ricordarsi che le squadre sono umane come noi.