Dicono i vecchi saggi del calcio che per costruire una grande squadra occorre fantasia. Per ricostruirla ci vuole soprattutto pazienza. Esattamente la dote che è mancata alla Juventus, nella corsa affannosa all'inseguimento della passata grandezza. Intendo Juventus in senso lato, dai dirigenti che si sono alternati al comando, nel dopo-
Calciopoli, agli ottimisti che si sono accaniti prima contro
Ranieri e poi contro il suo pallido erede
Ferrara, come se un secondo posto fosse un oltraggio al blasone, agli stessi tifosi, che fruendo anche dei moderni mezzi informatici hanno preso a martellare contestazioni preventive, complicando ulteriormente l'opera dei già confusi architetti. Si spiega anche così il fatto che il club abbia speso nelle ultime stagioni cifre impressionanti, senza riuscire a essere oggettivamente competitivo per i massimi traguardi.
Quest'anno la saggezza di Marotta e il ruvido pragmatismo di
Del Neri, assistiti dal ritorno allo scoperto della dinastia Agnelli, attraverso il giovane Andrea, parevano aver fatto rifiorire gli entusiasmi. in effetti, malgrado i pareri contrari di autorevoli commentatori, la squadra si stava esprimendo al di sopra dei propri limiti, quando sul finire del girone d'andata la duplice consecutiva scoppola incassata dal Parma e a Napoli, l'ha ripiombata in acque procellose.
Un campionato a basso punteggio, in testa, consente a molti di nutrire speranze di rientro. Ma in pura linea tecnica, "questa" Juventus non vale le grandi, anche se il carattere e l'ostinazione le hanno consentito di aggiudicarsi, a sorpresa, alcuni scontri diretti.
Dal ritorno in Serie A la Juventus ha speso poco o ha speso male? Buona la seconda. A partire dalla gestione Blanc-Secco, nel corso della quale, in tre stagioni, sono state investite risorse sproporzionate in acquisti e che si sono rivelati o fallimentari o ininfluenti.
Qualche nome e qualche numero. Nell’annata 2007- 08 sono usciti dalle casse oltre sessanta milioni per
Tiago (13),
Almiron (9),
Jorge Andrade (10),
Sissoko (11),
Iaquinta (11,3). Soltanto quest’ultimo, per quanto bersagliato da ripetuti infortuni, è stato (e sarà) utile alla causa. Tiago rispedito al mittente, Almiron e Jorge Andrade a chi l’ha visto?, Sissoko separato in casa e tollerato, non so quanto a lungo, per mancanza di alternative nelle rotazioni. L’anno dopo, si è speso poco più della metà, ma per due soli giocatori:
Amauri (22,8) e
Poulsen (9,75). Evito commenti.
In compenso, nel 2009-10 cinquantadue milioni ripartiti fra
Felipe Melo e
Diego, circa 25 a testa, con il modico supplemento di 2 per
Grosso di ritorno dalla non brillantissima avventura francese. Sarà stata anche sfortuna. Però Diego non si è mai compiutamente calato nella realtà italiana e juventina in particolare (sulle qualità del fantasista non è lecito il dubbio), mentre Felipe Melo, giocatore di fondamentale importanza sotto il profilo tattico, si è rivelato purtroppo preda di raptus comportamentali che ne hanno pesantemente condizionato il rendimento, con risultati devastanti per la squadra, anche nel recente periodo che pure si era avviato con le stimmate del completo riscatto.
A occhio e croce, quasi 150 milioni - in minima parte rientrati dalle successive cessioni - per lasciare tutto al punto di prima.
Cioè a una distanza lungi dall’essere colmata nei confronti della concorrenza, in particolare di un’Inter nel frattempo impegnata a vincere tutto, con Mancini prima e Mourinho poi. E con giocatori fra i quali puntualmente svettava Dejan Stankovic, il cui passaggio già praticamente concluso alla Juventus (sarebbe stato l’unico affare azzeccato) era stato impedito dalla massiccia, e per me inspiegabile, sollevazione della piazza.
Così la famiglia Agnelli ha rotto gli indugi, si è ripresa il giocattolo, si fa per dire, e ha deciso una radicale inversione di rotta. La costante, sin qui, è stata però l’entità degli investimenti a fronte di modesti esiti tecnici. L’abilità di Marotta ha consentito di dilazionare i pagamenti, giostrando fra prestiti e rateizzazioni, in modo da non sforare il budget. Ma il valore attribuito ai vari giocatori ingaggiati è nella maggior parte dei casi eccessivo, talora in modo imbarazzante. Passi per i quindici milioni di Krasic, uno dei pochi in grado di fare la differenza, specie se dimenticherà in fretta l’emulazione per lo sport di Di Biasi e Cagnotto (gli arbitri hanno la memoria lunga, se li freghi una volta poi ti mettono nel libriccino nero). Ma i 12 per
Martinez, i 5 per Motta, al cui posto gioca un diciottenne scandinavo preso per rimpolpare la Primavera, anche i 10 per
Pepe e i 5,6 per
Rinaudo non sono noccioline. Col risultato di dover ricorrere ad altre operazioni, questa volta giustificate ma pur sempre onerose, per assicurarsi Aquilani, il cui riscatto dal prestito appare scontato, e Quagliarella, fermato dalla sfortuna ma sino a quel momento il solo vero affare della Juventus, nel rapporto qualità-prezzo. Poi gli infortuni a catena hanno costretto a reclutare in fretta e furia
Toni, rientrato ai box in modo altrettanto rapido, e ad avviare altre operazioni, fra le quali la caccia all’attaccante
Floro Flores (poi finito al Genoa), anche questa avversata da una tifoseria afflitta da insuperabile mania di grandezza.
Avevo avuto occasione di sostenerlo in passato, ai tempi della cacciata di Ranieri a furor di popolo (ancora!). Se si vuole tutto e subito, è facile ottenere niente e dover ricominciare tutto daccapo, a ogni stagione, con colpi micidiali assestati al bilancio. Lo dimostra anche la parabola dell’Inter morattiana, che ha cominciato a vincere quando ha abbandonato la politica della cicala, delle spese allegre e puramente ornamentali o mediatiche, per assemblare pazientemente, un pezzo dopo l’altro, una formazione equilibrata e tatticamente funzionale.
Così la Juventus deve respingere con fermezza la tentazione di un nuovo repulisti, mantenere il buono che la stagione ha offerto, alzare la qualità dei reparti più deboli (gli esterni difensivi non valgono quelli dei diretti concorrenti, per dirne una, e l’attacco va corposamente rimpolpato, non si può vivere in eterno del solito mirabolante Del Piero). Non basterà forse per vincere subito, ma sarà un passo in avanti, in controtendenza con la sindrome del granchio degli ultimi anni vissuti pericolosamente.