Ricordo di avere visto poche volte un Galiani rabbioso e livido in volto come quello di ieri all’uscita della Lega calcio. Schiumava bile, l’Adriano fresco tricolore, minacciando per ben due volte il ricorso in tribunale contro la decisione presa in Lega di appoggiare le piccole sulla ripartizione dei diritti tv. Soprattutto, l’ho trovato velenoso al limite della perfidia nell’attacco diretto contro Beretta, a suo dire sempre impegnato a Unicredit e mai presente nella sede di via Rosellini. A essere sinceri, non è quest’ultimo un fatto nuovissimo e sconosciuto. Semplicemente da ieri è moneta da spendere.
Capisco che la materia dei bacini di utenza sia noiosa di per sè. Se poi ci sono di mezzo troppe persone in giacca e cravatta (gialla), l’attenzione crolla all’istante. Eppure non è partita da poco vista la rabbia di Galliani, più iroso di quando a Cesena, alla seconda di campionato, affrontò di petto il designatore Braschi. Là c’erano tre punti di mezzo, qui qualche milione di euro. Superfluo chiedersi cosa conti di più per un manager.
La soluzione sarebbe semplice: se l’Auditel è uno strumento sbagliato per stimare i tifosi, cosa sulla quale convengo con Galliani, e in attesa di trovare un criterio che metta tutti d’accordo, si faccia come in Inghilterra: si divida il 50% in parte uguali tra tutti i club e non il 40% come si fa ingiustamente da noi.
Ma in realtà, peccando di dietrologia, io temo che Galliani fosse così furioso per un altro motivo. Che non si chiama Beretta, bensì Lotito. È lui ad aver guidato e vinto la battaglia delle 15 piccole. È lui, da anni, a dettare una nuova linea in Lega, mi dicono alzando in taluni casi la voce. Dietro al contratto collettivo da stracciare c’era Lotito, dietro all Beretta di oggi c’era Lotito. E Galliani lo sa, troppo smaliziato per non irritarsi di un oppositore, per altro così ingombrante, sulla sua strada. Va compreso: dopo la diarchia con la Juve, la sua Lega era da anni una monarchia.