Si sciopera? Forse sì. I capitani della Serie A hanno emesso la loro minaccia in un comunicato firmato ieri: se i club non sottoscrivono l’accordo collettivo, verranno incrociate le braccia - pardon, le gambe - il 28 agosto, prima di campionato.
Penso che alla fine tutto rientrerà, come è successo le altre volte, a eccezione di quella domenica del 96 in cui il calcio italiano si bloccò davvero. È troppo impopolare farlo. Quando c’è di mezzo lo sciopero della categoria più ricca del pianeta, i calciatori, saltano i nervi a chi fa sempre più fatica a vivere. È accaduto anche a me l’inverno scorso. Sbottai in qualche trasmissione tv: “Hanno tutti i privilegi del mondo, guadagnano in un anno quello che un operaio incassa in tre vite, e si lamentano pure?”.
Capisco che si rischia la facile demagogia. E l’ho spiegato anche a Damiano Tommasi, incontrandolo qualche tempo fa a una serata della Panini. Ci conosciamo da molti anni. Sommessamente gli ho detto due cose: deve migliorare il comportamento dei calciatori in campo (lui era d’accordissimo) e bisogna smetterla con il veterosindacalismo Anni 70, quando l’Aic è nata. È l’aspetto del vecchio gruppo vicentino che meno mi piace, perché le battaglie di frontiera spettano a chi lotta davvero per i diritti sul posto di lavoro. I calciatori devono prendere atto di essere professionisti e di doverne pagare i rischi, le conseguenze.
Però stavolta, e vengo al punto, non riesco a dare a torto all’Associazione calciatori. Nel senso che un accordo era stato raggiunto con la Lega calcio il 7 dicembre scorso. Tutto era stabilito, compresa la questione del trattamento dei fuori rosa. Quel giorno era attesa la firma delle parti, ma i club non l’hanno più fatto. La ragione è che qualche presidente (leggi Lotito) ha spinto in alto l’asticella un’altra volta, pretendendo qualcosa in più della prima intesa. E questo non si fa, non è consentito nemmeno se dall’altra parte c’è una categoria iperprotetta e miliardaria.
Gli accordi sono accordi. Un tempo bastava la parola d’onore, che mi rendo conto essere istituto ormai passato di moda. Se a Beretta non stava bene, doveva rifiutarsi allora. Inutile andare oggi sui giornali a dire che non accetta ricatti dall’Aic. Stavolta è stata via Rosellini a compiere un capolavoro, con la voglia di offrire solidarietà ai nababbi della pedata.