Siamo onesti: viviamo un periodo di drammatiche incertezze, di crisi economiche ma anche di identità. Non sappiamo chi siamo e cosa vogliamo. E anche i pochi capisaldi che avevamo crollano come le Borse. Questo inizio settimana è stato tremendo, con un uno-due al mento degno del miglior Tyson, due perdite tremende per chi ama le abitudini per la sicurezza che danno. Prima la scoperta della fine della rubrica “Pubblico e privato” di Alberoni sul Corriere della Sera. Durava da 25 anni, nel corso dei quali il sociologo aveva abbondantemente sparso banalità e prosa soporifera su qualunque argomento, dai sentimenti al vivere comune. Basta, sparito. Traslocherà armi e bagagli al Giornale, a quanto si sa, ma con tutto il rispetto non sarà la stessa cosa. Sarà come un sequel rispetto al film originale: quelle piccole ovvietà ogni settimana ci tranquillizzavano e avevano un senso su un quotidiano sdrammatizzante e onnicomprensivo come il Corriere, non su un foglio da battaglia come il Giornale. Seconda botta, la chiusura del Bagaglino, il cabaret romano di Pippo Franco e Leo Gullotta: battutine un po’ da oratorio e un po’ da caserma sottolineate da applausi spesso a casaccio di un pubblico composto dal famoso generone romano, che andava per vedere e ancor più per farsi vedere. Anche tutto questo ci tranquillizzava: tutto a posto e niente in ordine, business as usual, come quando eravamo felici e più giovani e il grano circolava. Niente, sparito tutto.
Ma allora a cosa si può aggrappare un italiano del XXI secolo? Ma che domande, signori, al telecomando. Deve fare come abbiamo fatto noi, giuriamo casualmente: scanalare fino ad arrivare a 7 Gold e sentire subito tre persone che si urlano addosso. Una certezza c’è e resta sempre. Il processo di Biscardi. Una trasmissione immutabile come i commenti di Alberoni e le battute del Bagaglino, irredimibile avrebbe detto Sciascia. Uguale a se stessa in ogni parte. A partire dal primo nome che abbiamo sentito pronunciare: Luciano Moggi. Che ha rivelato la sua verità su Rodomonti, Calciopoli e tutto il resto proprio a Biscardi. E da lì si è scatenata una discussione su una partita del 2004 trattata però come se fosse stata giocata il giorno prima, con un’analisi di episodi che tutti, a sette anni di distanza, ricordavano e raccontavano perfettamente, tanto che il sottoscritto – capitato d’improvviso sul programma - per qualche minuto ha seriamente pensato che si trattasse di una replica. Invece no, perché tutti i partecipanti al Processo - metà dei quali perfetti sconosciuti, personaggi che probabilmente esistono solo lì, un po’ come Zarrillo a Sanremo - ricordano perfettamente tutto quello che è successo ai tempi di Calciopoli, che è sempre e comunque l’argomento preferito, se non unico, di discussione. Da bravi esponenti di un Paese che non ha futuro perché passa il presente a scannarsi sul passato.
E oltre Calciopoli tutto il resto, tutto quello che c’è sempre stato al Brogesso: grida, un parlarsi addosso e interrompersi continuo per affrontarsi a colpi di tesi preconcette e precostituite, che nessun dibattito potrà mai cambiare di una virgola, scandalismo, grida che tutto il calcio è falso e un imbroglio, tifosi iscritti all’albo dei giornalisti anzi scusate il contrario, l’assoluta impossibilità di arrivare a una certezza finale, una qualsiasi, il moviolone, le bombe di mercato, le email dei lettori, i sondaggi. E naturalmente lui, Aldone, visibilmente invecchiato, visibilmente tinto, visibilmente in impaccio con l’italiano. Ma lui, di certo, garrulo e garrendulo, vispo, anzi arzillo. Quindi, verso mezzanotte, siamo andati a letto se non felici almeno rasserenati rispetto a un inizio di giornata che l’uno-due Alberoni-Bagaglino aveva seriamente rischiato di trasformare in una tragedia. Ci sono ancora delle certezze, nel nostro vivere angoscioso, matto e disperatissimo, dei capisaldi, dei chiodi nella parete rocciosa a cui aggrapparci per evitare il baratro. Il cielo non ci cadrà sulla testa né oggi né, probabilmente, domani. Grazie, Aldo.
Livio Balestri
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