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Il Barcellona è finito (ma non troppo)

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Dopo il passaggio del turno contro il Milan, al termine di una doppia sfida di puro controllo e con una intensità da trofeo Gamper, chiusa in Camp Nou annoiato e ormai con atteggiamento da pubblico teatrale, rimane la sensazione che qualcosa nella squadra di Guardiola si sia rotto per sempre. Non certo il meccanismo di gioco, basato sui soliti principi ferrei (pallone gestito in spazi brevi sempre dai tre migliori, continui cambi di lato, prima punta che si muove dal centro verso l'esterno), ma di sicuro qualcosa a livello di rabbia e di cattiveria: sentimenti ormai risvegliati solo da Mourinho (chissà dove sono oggi quelli che lo deridevano per i suoi 'Porqué?') e dal Real Madrid, che hanno dominato la Liga ma che 'devono' essere battuti nella finale di Champions per risvegliare un po' l'orgoglio catalano. Che peraltro vale come quello bresciano o leccese, solo che le cose viste da lontano assumono più fascino. I segnali di stanchezza mentale sono chiari, non è un caso che i più intelligenti (Guardiola) li abbiano colti per tempo, comprendendo l'impossibilità e la stupidità di toccare una squadra che quando vuole non fa vedere il pallone ad alcuno. Per questo è più facile che l'allenatore vada via o si prenda un anno sabbatico, piuttosto che gestire rivoluzioni in una formazione che non ne ha bisogno. A movimentare le partite del tiki taka sono ormai solo dettagli tattici per chi le vede tutte, come Fabregas finto centravanti o Cuenca schierato a sorpresa sulla fascia sinistra, nel senso proprio di linea del fallo laterale, e il 4-3-3 di base diventato 3-4-3 perché Puyol sulla sinistra non spinge e quindi tanto vale accentrarlo. Insomma, stiamo dicendo che è finita una squadra che ha buonissime probabilità di riconfermarsi campione d'Europa. Quanto al Milan, è di una cilindrata inferiore e nessuno come Allegri lo sa: le critiche di Berlusconi per la partita intelligente di San Siro suonano quindi ridicole almeno al livello di quelle a Zoff che avrebbe dovuto far marcare Zidane (parentesi: peggior prestazione della carriera del francese iun una partita importante) nella finale di Euro 2000. Nessuno si illudeva che i rossoneri potessero reggere difensivamente a Barcellona, ma come a Milano è nei ribaltamenti che hanno trovato qualche situazione favorevole. Parliamo di situazioni, non di occasioni: se Robinho e Boateng avessero giocato in maniera decente, sfruttando almeno qualche uno contro uno, adesso non staremmo a parlare del solito fallimento Champions di Ibrahimovic. Che ha perso la sfida con Messi e non certo per il numero dei gol (semi-regalato il secondo rigore, anche se fa ridere l'inevitabile 'In Italia non l'avrebbero fischiato': e certo, chiedetevi anche il perché...), ma perché l'argentino riesce ad essere il punto di riferimento dei suoi anche nelle giornate normali. Il discreto Ibrahimovic visto contro il Barcellona non lo è stato, anche se l'unica fiammata (assist a Nocerino) milanista è stata sua. Twitter @StefanoOlivari