Josè Mourinho ha conquistato tutti e tre i campionati nazionali più importanti d'Europa (più quello di partenza nel suo Portogallo), ma il trentaduesimo titolo di Spagna vinto dal Real Madrid non è banale nemmeno per un club che stava vivendo la superiorità del Barcellona come un incubo impossibile da scacciare anche gettando in campo centinaia di milioni. I catalani non escono per niente ridimensionati da questa stagione, che in Champions è finita per un rigore (come del resto per il Real) e in patria è stata da secondo posto per l'infortunio di
Villa che ha costretto
Guardiola a puntare quasi su un
Sanchez apparso inadatto ai movimenti chiesti dal sistema alla punta centrale (al punto che Messi spesso l'ha platealmente ripreso in campo). Poi la stanchezza, ma presentarsi stanchi alle fasi decisive della stagione è una colpa, ha fatto il resto.
Ma dicevamo di Mourinho, che ha conquistato questo titolo partendo da una bugia necessaria: mai infatti l'allenatore portoghese ha ammesso la superiorità di gioco del Barcellona, nemmeno quando era indiscutibile. Il commento è roba da commentatori, lui fa l'allenatore-motivatore: come potrebbe essere credibile se dicesse 'Guardate, cercate di vincere ma quelli là tanto sono più forti'? Sette titoli nazionali in quattro paesi diversi, nessuno prima di lui c'era riuscito in tutti e tre i più televisti nel mondo. Interessante il motivo per cui Mourinho non pensa di consolidare il record, andando per esempio in Bundesliga: ''Il tedesco è troppo difficile per me, anche se ho provato a studiarlo. Per allenare devi parlare bene nella lingua della maggior parte dei giocatori, con l'interprete puoi spiegare la tattica ma non puoi entrare nella testa dei giocatori''. Conosce la materia, visto che nel grande calcio lui nasce come interprete di Bobby Robson. Insomma, si accontenta di quattro paesi europei, eguagliando in questo senso
Happel,
Trapattoni e
Ivic.
Quanto al modo di giocare, quello del Real Madrid di quest'anno è stato mourinhano come non mai: quattro difensori, con i laterali invitati a spingere, due mediani (
Khedira e
Xabi Alonso), una punta centrale (il più forte Benzema è spesso stato preferito al più intelligente Higuain), un fenomeno e altri due giocatori offensivi che dovevano adattarsi a lui. Più o meno lo stesso schema dell'anno scorso, ma con il doppio dell'aggressività e della compattezza.
Di Maria e
Ozil hanno alternato grandi partite ad altre in cui sono sembrati un lusso, ma la delusione è stata
Kakà, soprattutto il Kakà guarito che secondo Mourinho avrebbe dovuto fare la differenza in Champions entrando a partita in corso: un vero colpo di
Galliani, quello di cederlo nel 2009 un minuto prima del declino (e il numero gli stava riuscendo anche con
Pato, prima che
Berlusconi lo bloccasse). E quindi? Dopo tanto fantomatico calciomercato, Mourinho potrebbe superare la boa della seconda stagione, come in carriera ha fatto solo al Chelsea (con risultati inferiori alle prime due), in attesa di prendere in mano la nazionale portoghese e di pensare ad una candidatura politica. Per adesso si accontenta di essere il migliore allenatore del mondo, con buona pace dei giornalisti che non invita a cena.
Stefano Olivari, 4 maggio 2012