Kakà è uno dei fiori all'occhiello della carriera di
Adriano Galliani: comprato al momento giusto dal San Paolo, nel 2003 per 9 milioni di euro, venduto al momento giustissimo al Real Madrid nel 2009 per 70 milioni. In mezzo tanti trofei in cui il brasiliano ora trentenne è stato decisivo e le solite pantomime della casa (lacrime, presidente che dice di sacrificarsi per i tifosi, cessione). Adesso
José Mourinho, memore di essersi giocato l'accesso alla finale di Champions per avere creduto in Kakà (del resto a squadre allungate il Kakà di qualche anno fa sarebbe davvero stato devastante), gli ha caldamente consigliato di accettare le offerte che gli arrivano dal campionato statunitense, con parole che non prestano il fianco ad equivoci: ''Sei una riserva, cercati una squadra''. Quelle pensate probabilmente sono state però queste: ''Sei arrivato qui già in declino, prima che arrivassi io. Adesso liberaci almeno da un ingaggio pesante''. Al di là di dove finira Kakà, perché in questo momento vale tutto (al Milan a sconto come in Brasile per giocarsi una chance per il Mondiale 2014), la morale da trarre dalla vicenda è che nel calcio e nella vita si vive di solo presente. Innamorarsi dei giocatori può essere controproducente, ma lo stesso discorso vale anche per i presidenti. Se Berlusconi ha esaurito la sua fase propulsiva, può anche farsi da parte visto che nessuno gli toglierà mai le cinque Champions vinte e tutto il resto. Solo che, per parafrasare il titolo di un bel libro di
Massimo Mucchetti, i padroni non si possono licenziare.