Alla vigilia dell'inizio della serie A, con la vicenda
Conte-calcioscommesse che ha appena scollinato il secondo grado di giudizio, l'unica certezza è che la Juventus e
Andrea Agnelli non vogliono essere giudicati da alcun tribunale sportivo, ma solo 'pesati' in base al seguito popolare e all'evidente importanza che ha la società bianconera nel funzionamento del sistema. Un riflesso condizionato di un'Italia antica, quando la Fiat era la Fiat e l'arroganza padronale non era supportata dal diritto ma almeno dalla forza. L'aspetto grottesco di tutta la vicenda è infatti il sostegno acritico della società a Conte, per fatti risalenti al suo lavoro a al Siena (e magari in futuro per quello al Bari): in ogni caso niente che riguardi la Juventus, nemmeno di striscio. Invece la scelta, su consiglio non sappiamo di quale dei duecento avvocati in campo o se direttamente dello stesso Agnelli, è stata quella di buttarla in caciara. Come se il calcioscommesse 2012 fosse in qualche modo, sul piano giudiziario, una prosecuzione di Calciopoli con l'intento nemmeno troppo segreto di mettere i bastoni fra le ruote di una Juve che sul campo ha stravinto. Di qui le frasi di Conte sui 'giudici tifosi' (ma avrebbe dovuto anche dire di quale squadra), a margine dei balbettamenti sul merito delle accuse (ruolo di
Stellini, esclusione di
Mastronunzio, eccetera). Il senso generale della scelta di Agnelli è il solito: tenere sotto scacco la Figc, crearsi crediti spendibili in futuro. Con la consapevolezza che sul piano tattico le partite si vedono meglio dalla tribuna e che nel paese dei mille gradi di giudizio (altro che mancanza delle garanzie costituzionali) ogni sentenza può essere ribaltata, mitigata, ridiscussa.
Twitter @StefanoOlivari