Neymar come
Alfredo Binda, che addirittura fu pagato con il premio spettante al vincitore per non partecipare ad un Giro d'Italia dei tempi eroici. La stella più luminosa del calcio brasiliano è infatti stata considerata fuori concorso per il premio di giocatore brasiliano dell'anno nel 2012 (la Bola de Ouro, assegnata dal settimanale Placar, che peraltro ha vinto nel 2011) ed il trofeo è stato quindi alzato da
Ronaldinho (proprio il Ronaldinho che tutti conoscono), che nell'Atletico Mineiro ha fatto ottime cose e che per questo può essere considerato il primo degli umani. Chiunque sia stato di recente in Brasile, senza averne come noi una conoscenza filtrata dalla televisione e dal web, ci parla di un vero e proprio culto di Neymar, che va al di là del grande valore del ventenne attaccante. Proprio Ronaldinho, 32 anni ma che nemmeno a 20 era facilmente impressionabile, gli ha dedicato parole che raramente si dedicano a un collega, non solo nel calcio: "Noi andiamo in bici, tu vai in moto". Le cifre, 42 gol in 47 presenze con il Santos quest'anno, non dicono tutto, così come il fatto che tutto il Brasile lo ritiene l'unico indiscutibile della Selecao (17 gol già segnati, l'ultimo 20 giorni fa alla Colombia) che dovrà vincere il suo sesto Mondiale fra due anni. La diversità di Neymar risiede nel fatto che, complici il Mondiale e la buona situazione finanziaria del Brasile (rapportata a quella media dei precedenti trenta anni), questo giocatore è il primo vero fenomeno brasiliano dai tempi di
Zico (che andò all'Udinese, ma a 30 anni) che probabilmente vivrà in patria tutta la parte migliore della sua carriera senza bisogno di inseguire guadagni superiori in Europa: dove fra l'altro solo 4 o 5 club potrebbero presentare un'offerta credibile. Non è solo merito del Santos, ma anche degli sponsor. Neymar è giudicato da molti big spender della pubblicità come uno degli atleti con il più alto potenziale di marketing del mondo, sicuramente il primo fra i calciatori davanti anche a gente che qualcosa più di lui ha vinto come
Messi e
Cristiano Ronaldo. Nike, Volkswagen, Red Bull, eccetera, gli consentiranno di diventare mito a casa sua. Come
Pelé, come
Garrincha, come tutti quelli di appena un gradino sotto a loro ma che a un certo punto (non tutti volontariamente, ma sulla spinta delle crisi dei club) sono stati costretti a emigrare in un'Europa anche di secondo piano.