Il caso
Boateng-Busto Arsizio ha generato il solito dibattito sul razzismo, secondo il polveroso schema (applicabile e applicato anche fuori dai campi di calcio) che equipara 10 cretini urlanti a 4.990 persone silenziose. Parole, noi viviamo (male) di queste e ci siamo cascati. Andando però sul concreto, questa vicenda ha generato un mostro giuridico-sportivo: il poliziotto che valuta il tasso di razzismo dei cori. E' questa la sintesi del folle orientamento dell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive del Viminale, che ha recepito evidentemente le demagogiche richieste fatte dal presidente della Figc
Abete (che quindi ha una vita anche al di fuori dell'intervallo della partite della Nazionale) al capo della Polizia
Manganelli. In pratica viene depotenziato il ruolo dell'arbitro, che in caso di cori o striscioni razzisti potrà riferire al responsabile della sicurezza dello stadio (o comunque al funzionario delle forze dell'ordine più alto in grado), che sarà l'unico autorizzato a sospendere la partita. Dal punto di vista di Polizia e Carabinieri cambia pochissimo, visto che hanno facoltà di intervenire sempre e in ogni situazione per tutelare l'ordine pubblico: non hanno insomma bisogno del benestare di Abete, di
Berlusconi o di
Vavassori (il presidente della Pro Patria), ma possono procedere secondo la valutazione del momento. Non è che per interrompere un rave party in cui circola droga debbano sentire il parere del presidente della Federazione Rave Party (magari esiste davvero). Cambierà invece molto dal punto di vista sportivo, perché arbitri già nel mirino per mille motivi avranno l'alibi per lavarsi le mani rispetto a qualsiasi evento fuori dal rettangolo di gioco: riferiranno (loro o il quarto uomo) al poliziotto e poi che se la sbrogliasse lui. Inutile dire che il poliziotto (prefetto, questore o commissario che sia) ha buone probabilità di essere un tifoso di calcio, visto che lo è un italiano su due, e che soprattutto nelle piccole realtà la decisione di sospendere o meno potrebbe essere tagliata su misura per gli interessi della squadra locale. E per quelle più grandi non osiamo nemmeno pensare a cosa accadrebbe se un funzionario di pubblica sicurezza, magari in buonissima fede, dovesse interrompere una partita decisiva per lo scudetto o la salvezza sulla base di qualche 'buu'. Di solito la demagogia produce solo parole, questa volta ha prodotto un danno vero. La speranza è quindi, vista la statura degli ispiratori di questo 'laviamocene le mani e facciamo anche bella figura' (c'è anche il presidente del CONI
Petrucci, che fra poco fuggirà verso la pallacanestro dove ha giubilato il 'suo'
Meneghin), che la norma non venga mai applicata in caso di provocazioni solo verbali.