La serie B del calcio italiano non ha più una vera ragione d'essere, un po' come tutte le serie professionistiche minori di tutti gli sport, ma con il tetto agli ingaggi ha indicato al calcio maggiore la strada per uscire da una crisi finanziaria che tocca ogni grande club (Napoli escluso) e che in definitiva fa assomigliare la serie A di oggi a quella degli anni Cinquanta: vincono sempre gli stessi e l'unico modello è il mecenatismo più o meno disinteressato (in due casi, Agnelli e Moratti, addirittura con le stesse famiglie: la famosa mobilità sociale italiana...). Se vogliamo fare gli americani chiamiamolo salary cap, ma quello che è certo è che il progetto annunciato dal presidente della Lega di serie B Andrea Abodi non potrà che fare del bene a tutto il sistema. L'idea è semplice:
a partire dalla prossima stagione sarà sconsigliabile pagare, in serie B, un calciatore più di 300mila euro lordi a stagione (150mila per la parte fissa dell'ingaggio e 150mila per la parte variabile, di solito legata a obbiettivi di squadra). Sconsigliabile, attenzione, non vietato. Proprio come nella NBA, da cui è stato copiato un meccanismo fondamentale come la luxury tax. In sostanza una squadra sarà libera anche di dare un milione al suo centravanti, ma i 700mila in eccedenza rispetto al limite saranno detratti dai contributi derivanti dalla mutualità e saranno per così dire versati in un fondo che premierà i club virtuosi e quelli che otterranno i migliori risultati nell'attività giovanile. Un progetto intelligente e coraggioso, che merita di essere seguito con interesse. Prima considerazione: la serie B degli ultimi anni si era già molto ridimensionata da sola, senza bisogno di regole. Se una decina di stagioni fa c'erano diversi giocatori di serie C che guadagnavano oltre 500mila euro a stagione e molti di B oltre il milione, adesso questa raccomandazione interesserebbe circa il 20% dei contratti di B depositati ufficialmente in Lega. Seconda considerazione: il tumore dei bilanci, anche in serie A, non è lo stipendio delle stelle (che di solito producono più di quanto ricevono, tecnicamente e mediaticamente), ma quello della classe media. L'idea più forte delle 22 società di B non è quindi lo pseudo-tetto di 300mila euro, ma la riduzione delle rose che in due stagioni porterà a un massimo di 20 gli elementi con contratto professionistico. Terza considerazione: una retrocessione dalla A alla B sarà molto più rovinosa, dal punto di vista finanziario, di quanto non avvenga attualmente. Oltre a ritrovarsi contratti pluriennali onerosissimi e a dover fronteggiare un calo di spettatori allo stadio, il Palermo (nome a caso) della situazione dovrà anche rinunciare alla sua quota di entrate comuni. Quarta considerazione: l'Italia non è certo l'unico paese del mondo in cui parte degli ingaggi viene pagata in nero, ma è di sicuro fra i più ricchi (anche in questa congiuntura tragica). Qualsiasi riforma del calcio, anche la migliore, deve sempre fare i conti con il contesto. Se si pagava in nero prima a maggior ragione lo si farà adesso.