Mauricio Pinilla se l'è cavata con una sola giornata di squalifica, per l'ammonizione durante Cagliari-Inter che ha fatto scattare la sanzione in automatico (l'attaccante era diffidato), ma ha evitato una punizione più pesante per la simulazione che ha fatto guadagnare un rigore alla sua squadra. Come spesso gli accade, il discutibile giudice sportivo Giampaolo Tosel ha finto di non vedere (accade spesso, viste le pene diverse a squadre diverse per gli stessi insulti: solo gli striscioni laziali contro Platini lo hanno un po' stimolato) e tutto è passato in cavalleria. L'aspetto interessante della vicenda è che Pinilla ha ammesso onestamente di essersi buttato, perché sono cose che fanno parte del calcio. Una mosca bianca, Pinilla, in un mondo in cui si fa (anche di molto peggio) ma non si dice. Da non criminalizzare, perché in un ambiente dove si esaltano quelli 'bravi a cercare il contatto' non c'è allenatore che non raccomandi alla punta lanciata di andare dritta sul portiere, alla ricerca del jackpot (rigore più espulsione), oppure di fare un tuffo carpiato appena un difensore la sfiora. Un comportamento che ci ha ricordato quello di Suarez che di mano sulla linea tolse un gol al Ghana in un quarto di finale Mondiale: fu espulso, ma il Ghana sbagliò il rigore e passò l'Uruguay. Per non parlare di Michael Ballack, che al Mondiale 2002 pur sapendo di essere in diffida non esitò a stendere in semifinale un coreano lanciato verso la porta. A Pinilla è andata doppiamente bene, perché nemmeno ha pagato dazio. Quello che stiamo cercando faticosamente di dire è che l'arbitro, quando è in buona fede (non è scontato, così come per chiunque), è un fattore della partita di cui i giocatori devono tenere conto: almeno quanto tattica degli avversari, pubblico e clima. In altre parole, un calciatore sa cosa rischia quando simula e quindi, sia a tavolino che nella foga agonistica, può effettuare delle scelte. Tutto questo non c'entra chiaramente nulla con lo spirito sportivo nell'accezione decoubertiniana, essendo un discorso di pura convenienza. Ma gli ideali neoclassici del barone francese erano pura invenzione, visto che quasi tutti gli atleti dei Giochi Olimpici dell'antichità erano professionisti che avrebbero ammazzato i rivali pur di vincere. La realtà del mondo è quella dei Pinilla. Può non piacerci, a noi sicuramente non piace, ma è proprio per questo che il calcio è una metafora di successo.