Eufemiano Fuentes, ginecologo senza vocazione per la materia, non sarà costretto a spiegare il segreto dei trionfi dello sport spagnolo negli ultimi quindici anni. Dal calcio al tennis, passando per il ciclismo e l'atletica, negli archivi da copia e incolla copieranno che si è trattato di una generazione di fenomeni. In fondo gran parte della storia dello sport, per non parlare del presente, è costruita su bei racconti che non conviene a nessuno rovinare con verità fuori tempo massimo. Per la blandissima sentenza di primo grado in merito alla cosiddetta Operacion Puerto ci sono voluti sette anni, con il risultato di sole due condanne light per Fuentes (un anno di carcere, dove ovviamente non finirà nemmeno per un giorno, più quattro anni di sospensione dalla professione di medico sportivo, mentre potrà fare il medico in tutti gli altri settori...) e un suo collaboratore. Al di là della ricerca di un capro espiatorio, il problema non sono le condanne ma il fatto che i mille enti e federazioni che desideravano analizzare le decine di sacche di sangue sequestrate a Fuentes si sono visti sbattere la porta in faccia dal giudice. Da notare che fra questi enti non figurano solo quelli che hanno avuto propri atleti condannati per i trattamenti o anche solo la frequentazione di Fuentes (esempio: il CONI con Ivan Basso), ma anche la federciclismo spagnola e l'agenzia spagnola antidoping, oltre ovviamente a quella Wada alle cui regole la Spagna formalmente aderisce. E quindi? La copertura dei grandi dopati, in sport di squadra e individuali (non solo spagnoli, ma in prevalenza sì), è stata in questo caso effettuata al di sopra dello sport. In un momento economico come questo la pulizia formale del 'panem et circenses' non deve essere messa nemmeno in discussione. E così la Spagna degli anni Duemila sarà ricordata come l'Italia degli anni Ottanta e Novanta. Buon per l'equivalente spagnolo di trasmissioni tipo 'Sfide' e 'Perle di Sport', un po' meno per chi ha pagato per tutti e per tutto.