Paesi arabi, Cina, Russia e altre nazioni fra l'emergente e l'emerso stanno comprando il nostro vecchio mondo, non solo nel calcio, fra l'indifferenza e spesso la connivenza dei politici ma anche, diciamolo, del cittadino medio. Che al massimo chiede come mai una volta veniva
Maradona e adesso parte
Cavani, sentendosi rispondere banalità mercatiste. Oltretutto da una società come il Napoli, che ha il bilancio in attivo... Rimanendo nell'orticello calcistico, parte della 'legacy' (parola che viene di solito usata per giustificare investimenti senza senso) di
Blatter sarà quella di avere venduto il torneo più importante del pianeta ad un paese tanto ricco quanto ridicolo, il cui calcio è inesistente. Parliamo ovviamente di Qatar 2022, il Mondiale fattoci tornare in mente dal report della Deloitte (si intitola 'Are you on the bench? Insight into the Qatar construction market for real estate developers' ed è disponibile in versione integrale sul web) in cui in pratica si dice che l'emirato nei prossimi 5 anni spenderà oltre 120 miliardi (miliardi...) di euro per migliorare i trasporti e circa 190 in costruzioni, fra stadi e altre realizzazioni immobiliari. In più, prosegue Deloitte, l'ente del turismo del Qatar spenderà 20 miliardi in non meglio precisate infrastrutture turistiche. Dopo aver fatto la tara al tono entusiastico e alla genuinità di questi scenari e dimenticando per un attimo che si giocherà a 50 gradi, in mezzo al super-mercato del Paris Saint-Germain a proprietà qatariota bisogna ricordare che il calcio non è solo uno sport. Ma è il 'nostro' sport. E' identità, memoria, divertimento, strumento di consenso e di controllo sociale. E lo stiamo vendendo a entità non democratiche. Fra non molto la vecchia idea di Stanley Rous, quella di una FIFA di paesi civili (nostra libera traduzione del pensiero del numero uno FIFA detronizzato da Havelange nel 1974), tornerà d'attualità.