Pep Guardiola è diventato cattivo? O lo è sempre stato, con i giornalisti innamorati di lui troppo impegnati a disegnargli addosso un abito da finto prete alla
Prandelli? Il pacato e saggio Guardiola contrapposto al cattivo
Mourinho, al burbero
Ferguson, al duro
Capello, e così via. Domande che sorgono spontanee dopo la denuncia del suo amico e successore sulla panchina del Barcellona
Tito Vilanova, il quale ha rivelato che durante la sua permanenza (due mesi) a New York per farsi curare il tumore Guardiola non si è mai fatto vedere, nonostante proprio nella città americana Guardiola avesse scelto di trascorrere il suo anno sabbatico prima di tornare in pista (e che pista). Da sottolineare che il loro rapporto non era mai stato solo professionale e che affondava le sue radici in decenni di vita barcellonista insieme. E quindi? Guardiola è semplicemente un essere umano, come tutti gli allenatori (ma vale per qualsiasi professione) del mondo preoccupato che il suo successore possa fare meglio o anche solo uguale a lui. Al di là della politica sportiva (Vilanova uomo di
Rosell, Guardiola di
Laporta) e di una cortesia che dovrebbe essere doverosa (una visita a un amico in ospedale non è divertente ma non ha mai ucciso nessuno), tutti a questo mondo sono preccupati soprattutto di e per sé stessi. Ammetterlo e raccontarlo, senza ipocrisie, sarebbe già un primo passo per migliorare. Invece via con le riserve che tifano per i compagni che vanno in campo o con gli attaccanti felici di fare i terzini per la gloria del parner di reparto, finché c'è qualcuno che ci crede conviene ingannarlo.