Massimo Moratti ha già venduto l'Inter? Anche dopo il settimo posto strappato ai rigori alla Juventus nella Guinness Cup lasciamo il punto interrogativo, visto che più fonti attendibili concordano su una risposta (sì) che è in contrasto con quello che sappiamo (no) dalle nostre. E mettiamo in fila le poche certezze della trattativa infinita con
Thohir junior, senza entrare nel ridicolo ginepraio di
signing, closing, due diligence: tutti termini usati per rimpolpare articoli scarni ma che scompaiono di fronte alle volontà di venditore e acquirente, tuttora non chiare.
La prima: Moratti non può più sostenere un esborso annuo nell'ordine dei 70 milioni di euro per ricapitalizzare un club che costava tantissimo quando aveva una rosa piena di campioni e continua a costare tantissimo anche con i mezzi giocatori (negli ultimi due anni sono crollati i ricavi, nessun segreto).
La seconda: l'Inter è una sua proprietà personale, con azionisti di minoranza infinitesimali, non riguarda in alcun modo l'azienda di famiglia. Quindi quando si legge che il fratello Gianmarco, che con lui condivide la maggioranza della Saras, pretenderebbe un suo disimpegno, non si capisce il perché di tale (presunta) raccomandazione. Il problema è anzi proprio che la Saras da qualche anno non distribuisce dividendi e quindi per finanziare l'Inter bisogna intaccare altre parti del patrimonio personale. Siamo in zona
Franco Sensi, sia pure a un livello finanziario molto più alto. Ma a colpi di 70 milioni l'anno...
La terza: il debito consolidato dell'Inter è elevatissimo (450 milioni), tanto da zavorrare (e non solo per gli interessi passivi, comunque gestibili) qualsiasi serio tentativo di abbattimento. In pratica è molto difficile che una società del genere possa interessare per puro business, invece che per i soliti motivi: vanità personale, visibilità, pubbliche relazioni, in qualche caso (quello di Moratti senz'altro) anche tifo.
La quarta: pur con scelte discutibili e di profilo mediamente basso (
Mazzarri escluso), da squadra ottimisticamente da sesto posto, Moratti non si comporta come un presidente che voglia andarsene. Nemmeno De Niro sarebbe stato capace di fingere coinvolgimento per gli allenamenti di Pinzolo...
La quinta: Thohir si è messo a parlare di modello Arsenal nel giro di due anni, che in 'calcese' significa che non farà l'Al Thani della situazione. E nemmeno il Moratti...
La sesta: Moratti è geloso di un club per cui ha speso tanto, in tutti i sensi. E preferirebbe venderlo a uno sconosciuto, quale è alla fine Thohir, che a una delle cordate italiane che pure esistono e che negli ultimi mesi hanno lanciato più di un segnale (addirittura anche l'ex presidente Pellegrini, con il fantamercato che in certi pomeriggi a 40 gradi ha buttato lì anche il solito Del Vecchio e un 'trasloco' dei Della Valle). Di qui i discorsi fumosi su 'managerialità' e 'sviluppo internazionale'. Se è un problema di dirigenti, significa che lui li ha spesso scelti male (quelli attuali sicuramente) ed è quindi il principale colpevole dei fallimenti.
La settima: molti dirigenti e quadri medi della società hanno capito che un'era è finita e si stanno guardando intorno, nervosissimi. Tutti sentirebbero più garantite le loro poltrone da un Moratti che rimanesse almeno nel ruolo di garante (garante delle loro poltrone) ma, al di là della possibilità giuridica di patti parasociali, non è che uno dall'Indonesia investa mezzo miliardo per poi dare tutto in mano a Branca.
Conclusione? La situazione impone a Moratti di vendere, per non mettere la faccia su un decennio di campionati (comunque costosi) da comprimario. Ma Thohir non gli piace e di quasi tutti gli italiani (Tronchetti Provera escluso, che però non a caso si è 'diluito' nel corso degli anni) ha invidia preventiva. In mezzo c'è una delle Inter più tristi della sua gestione, peggiore di quella presa da Pellegrini 18 anni fa. La transizione rischia di non essere breve.
Twitter @StefanoOlivari