L'Italia non partecipò alla prima Coppa del Mondo, quella del 1930, per scelta (o meglio, per la stizza di non essersela vista assegnata da
Rimet) e alla sesta, quella del 1958, per essere stata eliminata nelle qualificazioni dall'Irlanda del Nord. Per il resto il nostro posto nella storia del calcio è sempre stato al sole, con tanto di testa di serie. I due pareggi con Danimarca e Armenia, uniti ai risultati di Colombia e Uruguay, per una mera questione di ranking FIFA porteranno invece gli azzurri di
Prandelli in una zona del sorteggio ad alto rischio. Ma non è il caso di drammatizzare, perché questa perdita della prima fascia potrebbe anche tradursi in un vantaggio. Mettiamo che realisticamente l'Uruguay vinca il suo playoff con la Giordania: a questo punto in prima fascia ci sarebbero quattro corazzate (Brasile, Spagna, Germania, Argentina), una squadra normale (appunto l'Uruguay) e tre di cui un'Italia ambiziosa non dovrebbe avere paura (Svizzera, Belgio, Colombia). Se a questo si somma il fatto che tutte le 'altre' europee finiranno nella stessa urna e che quindi non potranno incontrarsi fra loro, mentre un'Italia testa di serie ne avrebbe beccata una di sicuro, si può capire come l'allarmismo sia statisticamente ingiustificato: Inghilterra, Russia, Olanda e Francia (non ancora qualificata) sarebbero comunque quattro squadroni su otto. E poi agli ottavi ci si può qualificare anche come secondi. Certo, capitare nel girone di Brasile o Spagna può non essere simpatico.
Abete, ex dimenticabile vice di
Carraro nelle stagioni più nere e meno credibili del calcio italiano, ha fatto sulla discriminazione territoriale una marcia indietro forse penosa ma di sicuro imposta dalle circostanze. In estrema sintesi, non è cambiata la norma ma sono di fatto sparite le sanzioni: la 'squalifica' varrà per le curve e sarà estesa al resto dello stadio solo per fatti gravissimi e comunque non in maniera automatica, ma soprattutto sarà sospendibile con una sorta di 'condizionale' fino a un anno. Di più: senza entrare nel merito dei cori, saranno considerati 'validi' solo quelli percepiti in maniera netta da gran parte degli spettatori. Insomma, la guerra contro la beceraggine da stadio è terminata dopo la prima battaglia. Troppo forte il rischio di ricatti e minacce, soprattutto in realtà meno mediatizzate. Facile previsione: questo triste realismo verrà nelle prossime settimane percepito dalle frange peggiori del tifo come una licenza di insulto, ma nel medio periodo potrebbe dare buoni frutti.
Il ritiro punitivo (due giorni, peraltro, non duecento) voluto da
Galliani e forse anche
Allegri ci ha fatto riassaporare i cattivi sapori del calcio di una volta, quando i giocatori erano a tutti gli effetti proprietà dei club. E se sabato sera il Milan spezzerà le reni all'Udinese leggeremo anche che si tratta di una cosa giusta, perché i calciatori sono miliardari, viziati, ingrati, eccetera. Invece si tratta di una limitazione della libertà personale, così come il divieto di rilasciare interviste senza il permesso del club, accettata da tutte le società e da tutti i giocatori, per non parlare del loro sindacato a cui importa solo riempire le rose di LegaPro di trentacinquenni. L'ennesima illegalità tollerata, con l'aggravante della sottile soddisfazione del tifoso medio. Che invece di manifestare fuori dal Parlamento se la prende con le serate di
Abate e
Niang.
Twitter @StefanoOlivari