L'Inter è controllata da un gruppo indonesiano, la Roma da uno americano con cinesi forse in arrivo, molti altri club (primo fra tutti il Milan) grandi e medi cercano soci di minoranza ben sapendo che chi mette soldi in un'attività in perdita poi pretende di comandare. Insomma, in maniera simile a quanto avviene nei settori 'seri' dell'economia, il calcio italiano si sta vendendo ai migliori fra i pochi offerenti. E in pochi si chiedono se questa sia una buona cosa, visto che stiamo parlando, non esageriamo, di cultura. Senza avere il mito del 'padrone' italiano, perché Agnelli e Berlusconi non hanno fatto il bene dell'Italia più di quanto potrebbero fare Thohir e Pallotta, si può però pensare al cosiddetto controllo sociale della proprietà. In altre parole un proprietario italiano, meglio ancora se della stessa città, può fare tutte le porcate finanziarie del mondo usando il calcio come arma mediatica, ma per meri motivi di incolumità fisica non può quasi mai scherzare con la sopravvivenza della squadra: Parma e Lazio sono sopravvissute a Tanzi e Cragnotti, che dal tifo profondo (un po' meno da chi ha comprato bond spazzatura, con la connivenza delle banche proponenti) vengono ricordati come semidei, ad alto livello l'unica eccezione è la Fiorentina che nel 2002 fu schiantata da Cecchi Gori. E quindi? Finora tutto bene, la Roma vola e l'Inter è in luna di miele con il nuovo proprietario, ma se le cose dovessero volgere al peggio sarà curioso osservare i comportamenti di chi, da uomo d'affari e non da tifoso o aspirante premier, ha comprato società in perdita che promettono di rimanerlo per anni.