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Nocerina come segnale

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Un calciomercato più movimentato del previsto ha un po' nascosto la vicenda dell'esclusione della Nocerina dalla Lega Pro, che in realtà è un fatto pesantissimo sotto molti aspetti. La decisione presa coraggiosamente dalla Disciplinare non ha precedenti, mentre la situazione sanzionata di Nocera Inferiore di precedenti ne ha e parecchi, in varie parti d'Italia ma soprattutto al Sud: se non si inizia mai a fare pulizia nemmeno si potrà finire. Non lo dicono gli avventori di un bar, ma gli stessi calciatori nelle loro segnalazioni all'AIC di Tommasi. L'esclusione è stata decisa formalmente per responsabilità oggettiva in illecito sportivo, in occasione del derby con la Salernitana (quasi tre mesi fa, il 10 novembre: i giocatori della Nocerina, minacciati non solo dagli ultras che non potevano entrare allo stadio ma anche da gran parte della tifoseria, finsero di infortunarsi e fecero interrompere la partita per essersi ritrovati in meno di sette in campo), ma non bisogna nasconderne la sostanza: in certe realtà è impossibile fare calcio professionistico, quindi meglio escluderle per non contagiare il resto del sistema. Nessuno sentirà la mancanza del patron Citarella, fra l'altro con guai giudiziari di ben altro tipo, e dei dirigenti che aveva scelto (fra questi il più noto è Luigi Pavarese). Così invece che una decisione politica chiara (il presidente della LegaPro Macalli nemmeno ha voluto commentare la sentenza...) ne è stata presa una con un pretesto giuridico che potrebbe non essere ritenuto sufficiente nei successivi gradi di giudizio (Corte di Giustizia Figc, poi il quasi defunto Tnas del Coni) e quindi creare una situazione caotica. Visto che l'esclusione della Nocerina è esecutiva già da adesso, che fine faranno gli zero a tre a tavolino in caso di annullamento della condanna? E quando verrebbero recuperate queste partite? Lo vorrebbero sapere le altre squadre, ma anche gli stessi giocatori della Nocerina (fra i quali i cinque squalificati per un anno, che poi sarebbero i cinque che finsero gli infortuni: Danti, Hottor, Kostadinovic, Lepore e Remedi), per i quali le attenuanti non mancano. Vivere in un clima di minaccia continua, con ingaggi incerti e comunque paragonabili a quelli di un operaio (quando esistevano gli operai in Italia), non è una situazione facile per nessuno e a maggior ragione per un ventenne magari nemmeno cresciuto sul posto. Conclusione? Il calcio professionistico non è un diritto e si può praticare solo in determinate condizioni economiche, sociali, ambientali e sportive. Però bisogna dirlo prima, non dopo. Questa sentenza è un primo segnale nella direzione giusta, ma non può diventare la regola.