Mangiando la banana, come nell'immaginario di qualche curva e di buona parte delle tribune è logico per un 'negro', Dani Alves non ha purtroppo sconfitto il razzismo ma lo ha di sicuro messo in ridicolo. Senza la trombonista retorica dell'antirazzismo, che al razzismo contribuisce perché a tutti piace essere 'contro' e 'scorretti', o almeno pensare di essere tali. Clamoroso non tanto il gesto, quanto la clamorosa lucidità nel raccogliere la banana lanciatagli a da un tifoso del Villarreal e mangiarla: lezione anche a chi dice che i calciatori sotto pressione non sanno ragionare, giustificando così ogni idiozia dei propri idoli. Lo scherno, come meccanismo di controllo sociale, può molto di più dei temìni in bella copia e anche delle leggi: in un contesto di riprovazione sociale non ci sarebbero evasione fiscale, rifiuti gettati in mezzo alla strada, partite accomodate, simulatori da area di rigore, direttori sportivi maneggioni. Senza tanti aspiranti Moggi non sarebbe mai esistito Moggi, in altre parole. Poi ci vogliono anche i fatti concreti, e il gesto diventato un 'instant classic', del laterale destro del Barcellona (uno dei quattro, insieme a Messi, Iniesta e Xavi, da cui è dipeso tutto questo ciclo), ne ha oscurato uno importante: cioè che senza bisogno di sofisticate tecnologie il Villarreal ha individuato il lanciatore della banana, grazie alla testimonianza di alcuni vicini di posto (in Italia gli stessi dei temìni antirazzisti non la chiamerebbero denuncia ma 'delazione'), e lo ha cancellato a vita dalla possibilità di acquistare un biglietto per il Madrigal. Un Daspo calcistico, giustizia privata efficace come quella di Charles Bronson e molto più significativa di quella pubblica, che molti ipocritamente invocano quasi fosse un'autorizzazione a delinquere. Il Villarreal ha chiaramente detto che un tifoso così non lo vuole e non sappiamo quante altre società nel mondo avrebbero il coraggio di dissociarsi in questo modo da un loro 'consumatore'.