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Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere della retrocessione del Bologna. Perché quando la vivi nella tua città, tra il dispiacere dei tuoi amici e quello dei tuoi figli, è sempre più difficile scrivere col giusto distacco che richiede l’analisi. È stato un capolavoro di superficialità, dilettantismo, presunzione. Solo un presuntuoso come Albano Guaraldi poteva distruggere in pochi mesi una squadra che un anno fa - con Diamanti, Gilardino e Gabbiadini - aveva lasciato dietro di sé Sampdoria, Torino e Genoa. Un campionato di tutta tranquillità trasformato, dodici mesi dopo, in un incubo e concluso in un dramma sportivo. Complimenti al presidente e a chi ha firmato con lui questa sciagura sportiva, che per tragica ironia del destino cade nei giorni del cinquantenario dello scudetto. Si è fatto fuori un gentiluomo come Pioli, uno dei pochi motivi di vanto di una città in decadenza, si è indebolita la squadra sino alla cessione in gennaio di Diamanti, si è soprattutto trasformato il Bologna in un carnevale, condito da vecchie e nuove risse a Casteldebole. Non ho nulla di personale contro Guaraldi, che ho conosciuto e con cui ho sempre parlato bene. Ma il suo tempo è finito. Quando si fanno così tanti errori è giusto trarne le conseguenze e passare la mano ad altri. Non a parole, non nei propositi di facciata per i giornali, ma nella sostanza. Gli unici due presidenti che non vollero lasciare la società dopo la caduta in B, mi riferisco a Tommaso Fabbretti e a Piero Gnudi, l’anno successivo firmarono la caduta in Serie C. Persino Giuseppe Gazzoni Frascara, di gran lunga il migliore presidente bolognese degli ultimi trent’anni (non ci vuole granché, purtroppo) si fece da parte dopo la retrocessione indotta del 2005. Due mesi fa, ospitato nelle pagine locali di Repubblica, scrissi che l’unica salvezza di Bologna si chiamava Massimo Zanetti, che a differenza di Guaraldi nemmeno conosco. Imprenditore di provata capacità e di livello internazionale. La sua Segafredo sta per essere quotata a Wall Street, benché lui non ami partecipare alla sagra del pesce di Calderino. È uno freddo, razionale, che guarda moltissimo ai numeri. Per fortuna, mi dico, perché se quelli che non li guardano portano una società gloriosa con un pubblico eccezionale sul ciglio del fallimento, beh, mi tengo decisamente i primi. Zanetti, con la scelta di Baraldi come suo uomo di fiducia si prese insulti e ironie. In piccolissimo, le stesse sentite quando ho auspicato il suo ingresso come capo. Lo accusavano di volere guidare da solo, cosa che in realtà ha fatto Guaraldi, di non mettere soldi, mentre sono altri ad averli portati via. Adesso, molti degli stessi critici, sono a invocarlo come salvatore della Patria. Il tempo è davvero l’ultimo galantuomo sulla terra. Guaraldi non deve però menare il tortellino. Perché gli inganni durano poco. Ad esempio far finta di volere cedere per poi dire che è stato l’altro a non volere comprare. Mi pare sia già successo con altri possibili acquirenti in questi anni. Che senso ha incontrare Zeman se, sotto sotto, c’è l’obiettivo di volere cedere ai nuovi? Lo dico per inciso: allenatore che mi piace molto, forse l’unico in grado di riaccendere una piazza in ovvia depressione e lavorare nelle ristrettezze. Ma il punto oggi non è più Zeman. È Guaraldi. Lasci, presidente, rompa questo incantesimo negativo. Lo faccia per il Bologna e per lei, che avrà giornate migliori. Abbiamo già visto comandanti chiusi nel loro bunker convinti di vincere la guerra con qualche colpo a effetto, sicuri che fossero gli altri a sbagliare. Bisogna voltare pagina. Cinquant’anni fa, guidati da Renato Dall’Ara (per la cronaca più contestato dalla stampa cittadina di quanto non accada a Guaraldi), i rossoblù arrivarono a uno scudetto bello e straordinario, che il Guerin Sportivo si prepara a festeggiare con uno speciale altrettanto bello.