Roberto Baronio è stata una “stella cometa” sui generis: ha giocato a lungo in serie A, salvo esperienza sul finire della carriera a Roma (all’Atletico Roma, l’ex Lodigiani), ha vinto – soprattutto a livello giovanile – ma con le doti tecniche che si ritrovava avrebbe potuto recitare un ruolo da assoluto protagonista del calcio italiano, diventando un campione di livello mondiale. No, non sto esagerando, se è vero che vidi per la prima volta in azione il regista a 16 anni, quando lui – mio coetaneo, più o meno vicino anche geograficamente, essendo lui bresciano e io veronese – dava letteralmente spettacolo in campo, elevandosi sul resto dei compagni in un fortissimo vivaio come quello bresciano.
In origine era emerso nella Voluntas, società satellite da cui sarebbe giunto nel capoluogo di provincia anche Andrea Pirlo, e all’inizio le analogie tra i due erano evidenti. Registi entrambi, con Pirlo da giovanissimo schierato però in posizione più avanzata, pur con la differenza di età di due anni si trovarono spesso a duettare, ma più che altro fra loro fu staffetta, perché entrambi bruciarono le tappe. Roberto già a 17 anni mise piede in prima squadra, incantando, giocando da regista puro come detto, capace di leggere il gioco come pochi, di sventagliare il pallone da una parte all’altro del campo con estrema naturalezza, con due piedi fatati, con cui lanciava, tirava, calciava divinamente le punizioni, segnava. Baronio mette insieme 33 presenze in 2 anni in prima squadra e quando ha solo 19 anni, la Lazio se lo accaparra a suon di miliardi. D’altronde è già da tempo protagonista delle compagini azzurre giovanili, leader riconosciuto in campo per le sue doti squisitamente tecniche. Dall’Under 17 in poi sarà sempre importante punto di riferimento per i compagni, disputando il suo miglior periodo con la Under 21, quando mise insieme ben 27 presenze con 5 gol, con ciliegine sulla torta come 2 importanti affermazioni: il campionato europeo di categoria e i Giochi del Mediterraneo, quando era sotto età, appena 20enne. Prima ancora, perno dell’Under 19, era giunto terzo all’Europeo. Tante premesse giovanili non confermate però, se non in parte, dalla sua lunga avventura professionistica, dopo che la Lazio lo prestò una prima volta al rampante Vicenza. Gioca poco, così come l’anno successivo (1998/99) coinciso col suo ritorno alla Lazio – solo 20 presenze in due stagioni, raramente da titolare. Ma sarà l’anno seguente ancora quello del primo fragoroso squillo, coinciso con il ritrovato amico Pirlo a comandare la mediana della Reggina. Lui regista basso, Andrea più libero di inventare dietro le due punte, fatto sta che la squadra calabrese si salva, oltretutto spesso incantando, e molti meriti sono da ascrivere alla qualità pura dei suoi migliori interpreti giovani a centrocampo, gli stessi che come detto avevano appena conquistato l’Europeo Under 21 nel 2000 (una squadra incredibile col senno di poi, con gente come loro due, ma anche Gattuso, Cristiano Zanetti, Ventola).
Nella Lazio ancora fatica a imporsi e si accasa così alla Fiorentina per una nuova conferma, che sarà però parziale, perché Roberto non riuscirà a emergere del tutto, palesando difficoltà a livello tattico e cominciando a far salire il dubbio che forse sia troppo limitato tatticamente. Pur sublime nel tocco e con buona personalità in un ruolo chiave come quello del regista, allo stesso modo pare inadeguato a giostrare in altri ruoli della mediana, in un momento storico in cui diverse squadre stanno progressivamente abbandonando proprio quella figura chiave in mezzo al campo. Insomma, la duttilità non è il suo forte, e per la prima volta sarà nel Perugia di Cosmi che questa lacuna verrà messa in evidenza, quando, titolare designato a metà campo, finirà per vedere il campo assai di rado, e nel mirino per un rapporto non proprio idilliaco con allenatore e società (solo 11 presenze in Umbria nel 2002/03). Il tempo sta scorrendo inesorabilmente per lui: i suoi ex compagni nelle giovanili sono finiti in grossi club e in parecchi hanno già assaporato le gioie della Nazionale Maggiore, che solo qualche anno prima sembrava l’approdo naturale per un talento come lui. Urge un cambio di rotta, in un ambiente consolidato ma magari più tranquillo come quello di Verona, sponda Chievo. Il connubio con la nuova realtà sembra funzionare. Pur non esaltando, assicura comunque prestazioni all’altezza nel cuore della squadra, imperniata su un solido 4-4-2, modulo ideale per far valere le sue doti. In due stagioni disputa 50 positive partite, che gli consentiranno di esordire finalmente in Nazionale (in occasione di uno stage estivo negli Usa, quando Lippi lo schierò contro l’Ecuador)e di tornare così alla casa madre Lazio con più credito. Tuttavia, a gennaio viene spedito nuovamente in prestito, stavolta all’Udinese, dove raramente sarà titolare e mai decisivo. Ciononostante vuole ancora giocarsi le sue chances in terra romana, specie dopo che la cabina di regia, a lungo occupata da Liverani, è ormai vacante, ma la concomitanza con il bravissimo pari ruolo, l’italo argentino Ledesma lo costringerà all’ennesima stagione da comprimario. Superati i 30 anni Baronio decide, pur rimanendo sotto contratto con i laziali, di rimettersi in gioco, tornando nella sua Brescia, impegnata in una difficile risalita in serie A. Con lui alla guida del centrocampo, nuovamente leader e autentico lusso per la categoria, le Rondinelle in effetti giungono a un passo dal traguardo, perdendo la finale play off contro il Livorno.
Quando ormai nessuno a Roma sembrerebbe scommettere un centesimo su una sua affermazione, forse nemmeno lui, viste le numerosi delusioni, ecco che invece, seppur dettato da una situazione di oggettiva emergenza, in primis il fatto che diversi giocatori, fra cui Ledesma sono fuori rosa per motivi societari, il tecnico Ballardini gli dà fiducia, consegnandoli le chiavi della sua squadra. Così, inaspettatamente, a 32 anni Baronio ha finalmente modo di dimostrare le sue qualità di regista in una squadra importante di serie A. Senza eccessive pressioni e temprato da una carriera ormai lunga e piena di esperienze, Roberto gioca con un buon rendimento, non eccedendo in azioni leziose ma puntando sulla concretezza, sull’efficacia della giocata. Già in estate i segnali per lui con il tecnico romagnolo erano stati incoraggianti, visto che lo schierò titolare nella Supercoppa Italiana, poi vinta contro l’Inter. Un periodo felice destinato però a durare poco, e terminato in pratica in concomitanza con due fatti ravvicinati: l’avvicendamento di Ballardini con Reja e il ritorno tra i ranghi laziali di Ledesma. Incompatibili, come rimarcato più volte, i due in mezzo al campo, ecco che a prevalere nelle preferenze del navigato tecnico friulano sarà ancora una volta il forte centrocampista da poco naturalizzato italiano. Saranno comunque 24 le presenze di Baronio in quella stagione, l’ultima della sua lunghissima parentesi biancoceleste. Nel 2010 accetterà la scommessa di un’ambiziosa società, l’Atletico Roma, che per molti anni fu denominata Cisco Roma, che nasceva a sua volta dalle ceneri di una società storica romana, la terza emanazione calcistica della Capitale, vale a dire la Lodigiani, da dove partì tra gli altri anche un certo Francesco Totti. L’ambizione legittima della società emergente, che fece breccia nel cuore di Baronio, al punto da fargli firmare un contratto annuale, scendendo di ben due categorie (lui che non aveva mai fatto la terza serie, nemmeno da giovanissimo, quando in molti iniziano la propria carriera professionistica con la classica gavetta), si scontrò però amaramente e pesantemente con la realtà dei fatti. Sul campo la squadra non demerita, pur non arrivando a dominare il torneo (il roster allestito ad inizio stagione non faceva venire dubbi sull’effettivo valore degli uomini e molti pronosticarono con facilità una promozione diretta in serie B), si giocherà la finalissima dei playoff contro la Juve Stabia. Alla fine, nonostante un ottimo pareggio esterno ottenuto in Campania, sarà fatale la netta sconfitta casalinga nel ritorno dello spareggio. Da lì a poco verrà proclamato il fallimento del club, con conseguente mancata iscrizione ai successivi campionati professionistici. Baronio, rimasto svincolato, deciderà di appendere le scarpe al chiodo. Forse avrebbe preferito un finale più glorioso per la sua carriera, e non lo si può certo rimproverare di non aver provato a guidare i suoi compagni nell’impresa di raggiungere una storica serie B ma alla fine ha ritenuto giusto fermarsi e intraprendere un’altra carriera, sempre nel mondo del calcio, dove da un paio d’anni a questa parte, è accreditato come uno degli allenatori di squadre giovanili più promettenti del panorama italiano. Sembra sia nel suo destino una certa precocità delle esperienze, speriamo che almeno da allenatore possa esprimersi al massimo delle sue potenzialità.
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a cura di Gianni Gardon>)