Anche dopo Brasile 2014 il calcio africano rimane quello del futuro, come si sente dire dall'inizio degli anni Ottanta dagli amanti del politicamente corretto, come se una vittoria calcistica potesse mettere una pietra sopra a secoli di colonialismo europeo e ad un presente di corruzione locale. Come al solito il problema non sono i giocatori, visto che molti giocano in squadre europee di primo piano, e in questa occasione non ce la prenderemmo nemmeno con i tecnici: Finke, Lamouchi, Keshi, Appiah e Halihodzic. Non i classici falliti europei che vengono ad arraffare qualche soldo contando sulle divisioni interne che portano a mitizzare lo 'straniero', ma allenatori di primo piano (Finke e Halihodzic) o emergenti, con un passato da giocatore più o meno luminoso. Usciti al primo turno con moltissimi rimpianti Ghana e Costa d'Avorio, eliminate con onore agli ottavi Algeria e Nigeria, da Germania e Francia, solo il Camerun si può dire che abbia fatto pena a livello sia tecnico che organizzativo. E allora questa volta cosa è mancato? La risposta, guardando le partite e le rose, è molto semplice: niente. Il calcio africano di elìte è arrivato a un livello da Europa media e lì rimane. Tutti pensiamo che il Mondiale della Svizzera o del Belgio, nel caso della squadra di Wilmots non ancora finito, sia stato esaltante e dovremmo iniziare a giudicare con lo stesso metro anche l'Africa. La storia, la cultura calcistica, la credibilità politica, la capacità di condizionamento di Brasile, Germania, Argentina e pochi altri (mettiamoci anche l'Italia) non si inventano in pochi anni e soprattutto non si trasmettono in pochi anni al resto del mondo. Perché tu puoi anche sentirti un grande, ma se gli altri ti considerano medio il problema rimane tuo. Se l'Inghilterra ha vinto un Mondiale solo sui 17 in cui ha almeno partecipato alle qualificazione (parliamo quindi di 64 anni…) è quindi molto probabile che la Nigeria non lo vinca mai.
Twitter @StefanoOlivari