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La fine del Brasile

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Il calcio brasiliano sarebbe da rifondare totalmente, anzi da buttare, secondo i 'massimisistemisti' che scendono in campo dopo ogni partita del Mondiale per trarre conclusione indiscutibili in base all'ultimo risultato. Quindi il sette a uno con cui la Germania ha asfaltato a Belo Horizonte il Brasile padrone di casa sarebbe la prova che il calcio brasiliano non vale più niente. Non che una squadra sia stata nettamente superiore ad un'altra, con una partita drammatica nella sua unicità (fino a ieri David Luiz era uno dei difensori migliori del mondo, poi ha perso Muller nell'azione del primo gol ed è diventato anche lui scarso) e figlia anche della pressione insostenibile su una Selecao priva dei suoi due uomini migliori, Thiago Silva e Neymar, ma proprio il movimento brasiliano è diventato di serie B. Si vede che è meglio farsi eliminare nel girone, con una preparazione atletica da torneo aziendale e lo spogliatoio spaccato, che uscire in semifinale rendendo merito agli avversari e ringraziando il proprio pubblico (peraltro becero, visti gli olè finali quando i tedeschi si passavano il pallone). Può essere utile ricordare che il Brasile è la nazione che nel mondo ha più calciatori che giocano all'estero. In pieno calciomercato le statistiche cambiano da minuto all'altro, ma mentre stiamo scrivendo queste righe nella sola Europa stanno giocando circa 550 calciatori brasiliani, mentre nel resto del pianeta si stima (nessuno lo sa con certezza) siano almeno il quadruplo. Non un brutto movimento, anche se Scolari ha gestito male la vicenda Diego Costa ed ha scelto la strada del non gioco, confidando nelle prodezze di Neymar. Senza arrivare all'inevitabile dibattito sul 'futebol-arte', con relativa ode a Telé Santana o a Saldanha, la certezza è che Scolari abbia raggiunto in fondo il giusto piazzamento per la sua nazionale, ma con la colpa di non avere mai giocato da Brasile. Twitter @StefanoOlivari