Che il Real Madrid acquisti campioni al massimo del loro valore di mercato e di immagine nel mondo, da
James Rodriguez a tutti gli altri, non fa più notizia. Così come non è più una notizia che le porte per i suddetti campioni siano aperte anche in uscita e non solo quando sono ritenuti finiti, tipo
Kakà, ma anche quando sono semplicemente scontenti:
Ozil all'Arsenal l'anno scorso ha aperto una strada che è stata percorsa anche quest'anno, con l'highlight di
Di Maria al Manchester United. La vera novità è che il club diretto da
Florentino Perez oltre ad avere il più alto fatturato del mondo (di poco oltre i 600 milioni di euro annui) sta iniziando anche a produrre utili (38,5 milioni), con i debiti che contestualmente stanno calando e che ormai stanno per scendere sotto l'asticella del 10% dei ricavi. Le nonne potrebbero sintetizzare il tutto con 'Chi più spende meno spende', ma questa situazione merita una riflessione soltanto calcistica visto che ci permettiamo di non credere fino in fondo ai conti del calcio (non è che in Italia siamo cialtroni e nel mitico 'estero' immacolati). L'immagine del Real Madrid non dipende soltanto dalle vittorie internazionali, perché la Champions conquistata da
Ancelotti è arrivata 12 anni dopo la Nona (2002, era la squadra di Zidane e Figo). E la Settima (1998) era arrivata 32 anni dopo la precedente, periodo in cui nemmeno gli antipatizzanti avevano messo in discussione lo status del Real. In altre parole, la storia e il prestigio (non sono astrazioni, ma concetti ampiamente monetizzabili) di una squadra si costruiscono con i campioni che hanno vestito la sua maglia, prima ancora che con i trofei alzati. Il declino della serie A italiana c'entra quindi poco con i vivai, gli stadi proprietà, il marketing e tutte queste cose che saltano fuori ad ogni Mondiale disastroso, ma solo con la percezione della serie A come una stazione di transito per i giocatori che fanno la storia del calcio. Poi si può fare del luogocomunismo, o anche semplicemente del comunismo fuori tempo massimo, contro il calcio dei ricchi. Ma il vero problema è che all'appassionato medio del 2014 quello dei poveri non interessa.
Twitter @StefanoOlivari