Il Mondiale 2014 sembra sia stato giocato 20 anni fa, da tanto che l'attualità è pressante, ma nell'immaginario del tifoso in canottiera, cresciuto a pane e 'torti e ragioni nell'arco di una stagione si compensano', non è ancora finito. Per questo lo scambio di accuse fra
Mario Balotelli e
Cesare Prandelli è godimento puro per chi imputa soltanto a loro il fallimento di una spedizione iniziata con discrete aspettative e (da non dimenticare) un quadriennio di ottimo lavoro e buoni risultati (finale all'Europeo, terzi alla Confederations Cup). Entrambi sono usciti ridimensionati dal viaggio brasiliano, al punto che non sono nemmeno paragonabili a loro stessi soltanto sei mesi fa: Balotelli non sta ingranando nel Liverpool, dove il Milan lo ha scaricato pensando (finora a ragione) di aver fatto un affare, mentre Prandelli annaspa nel Galatasaray e ha la scritta 'Esonero' lampeggiante scritta in fronte. Proprio in Turchia l'ex c.t. aveva criticato l'uomo che contro Costarica e Uruguay avrebbe potuto e dovuto fare di più, sostenendo senza mezzi termini che Balotelli non è un campione ma solo uno bravo tecnicamente. Ricordando le prestazioni a Euro 2012 e il fatto che in Brasile avesse costruito la squadra su di lui, evidentemente Prandelli pensa che gli altri suoi azzurri fossero peggio... Balotelli non ha reagito, avendo da pensare al ritorno in Premier League e alle mancate convocazioni di Conte, forse non tutte farina di Conte (citofonare Verratti), poi al settimanale inglese Sport ha lasciato il suo pensiero: "Gli uomini veri si parlano in faccia, non mi aspettavo che Prandelli parlasse male di me davanti ai giornalisti. Comunque in tutto il Mondiale avrò avuto al massimo tre occasioni da gol". Fuori dalla polemica personale, una riflessione globale sul prandellismo non è ancora stata fatta e forse sarebbe il caso perché non riguarda tanto i risultati quanto il significato della maglia azzurra: per Prandelli l'Italia doveva soprattutto essere ambasciatrice dell'Italia stessa, da qui l'attenzione (a volte esagerata) all'immagine e al presentarsi sempre nel modo 'giusto', per il suo predecessore e per la maggior parte dei suoi predecessori invece il risultato lava tutto. Paolo Rossi, squalificato due anni per il calcioscommesse del 1980, adesso ha la statua equestre: questa è l'Italia vera, per lo meno quella maggioritaria, quella che Prandelli ha provato a cambiare. Venendo travolto non da questioni etiche, ma da piccole furbizie personali e rapporti da spogliatoio che poi alla fine gli si sono ritorti contro.
Twitter @StefanoOlivari