In occasione dei 70 anni di
Gigi Riva gli articoli-fotocopia sono una volta tanto più che giustificati: il più forte attaccante della storia del calcio italiano è sempre uguale a sé stesso, nella buona come nella cattiva sorte. Un uomo e un personaggio trasversale, al quale il calcio ha dato tanto ma non quanto lui ha dato al calcio, con una carriera ad alto livello finita di fatto a 26 anni e ufficialmente a 32. Una cosa però non ci piace delle celebrazioni di quello che
Gianni Brerà definì
Rombo di Tuono, cioè la sistematica denigrazione del Cagliari in cui lui fu grande, come se lo scarso valore dei compagni ingigantisse la portata della sua scelta di vita: dire no alle offerte delle grandi tradizionali per rimanere nella città e nell'isola che lo avevano adottato.
Bisogna prima di tutto ricordare che quando arriva al Cagliari, nell'estate del 1963, per lui la squadra sarda è un grande salto di qualità: a 19 anni è reduce da un discreto campionato di serie C con la maglia del Legnano, viene descritto come un'ala sinistra dalle buone doti atletiche ma dallo scarso senso del gol (poi diventerà il capocannoniere della storia della Nazionale, le valutazioni si possono anche sbagliare). La serie B è un palcoscenico più importante e lui fa la sua parte nella storica promozione al primo campionato di A della storia rossoblu: pochi gol, otto, ma tanta sostanza. Viene preso in considerazione sia da Fabbri che da Valcareggi, subisce con l'Italia il primo grave infortunio nel 1967 ma è solo nel 1968, a 24 anni, che diventa Gigi Riva con la vittoria nell'Europeo casalingo.
A questo punto la Juventus è in una fase di transizione, la ricostruiranno Allodi e poi Boniperti ma è ancora ben lontana dalla squadra che dominerà gli anni Settanta. Stesso discorso per l'Inter, dove è finito il ciclo di Moratti ed Herrera per passare alla più risparmiosa gestione Fraizzoli. Il Milan, che cambia vorticosamente presidenti e dove da poco è tornato in panchina Rocco, è totalmente nelle mani di Rivera che con Riva ha una sana rivalità. Ma più di tutto il Cagliari è in pochi anni diventato una grande squadra, grazie anche ai contributi, più o meno imposti dalla politica, di alcune grandi aziende che in Sardegna hanno significativi interessi (fra queste, curiosamente, svetta la Saras dei Moratti, senza dimenticare la Sir di Rovelli) e con il ritorno di
Manlio Scopigno in panchina è pronto a conquistare l'Italia.
Nel campionato 1968-69 parte fortissimo, è primo al termine del girone di andata ma poi ha un calo e viene superato dalla Fiorentina. Secondo posto, ma davanti al Milan fresco campione d'Europa sull'Ajax di Cruijff e alle altre grandi tradizionali. Ci sono
Albertosi (da poco arrivato dalla Fiorentina),
Niccolai, Cera e
Boninsegna, oltre a Riva, tutta gente che l'anno seguente (insieme a
Gori e
Domenghini, che arriveranno in quell'estate 1969 che vede partire Boninsegna, i cui rapporti con Riva sono altalenanti) sarà al mondiale messicano. Quella 1969-70 è la stagione dello storico scudetto, ottenuto da una squadra che in un calcio ormai autarchico (le frontiere sono state chiuse nel 1966, rimangono solo gli stranieri che già c'erano prima, come a Cagliari il brasiliano
Nené che in Italia ci è arrivato nel 1963 con la Juventus) è quella con il maggior numero di azzurri nella rosa: in altre parole, la migliore squadra d'Italia al servizio del suo fuoriclasse ormai diventato anche un grande realizzatore.
Poi il Mondiale del 1970, dove Riva fece bene ma non benissimo e la tibia e perone dati alla patria con la fattiva collaborazione dell'austriaco
Hof.. Il Riva degli anni Settanta, in un Cagliari declinante, è troppo condizionato dagli infortuni per essere al suo meglio: anche noi che lo abbiamo visto dal vivo purtroppo solo alla fine della sua parabola possiamo dire che con le regole di oggi (su tutte l'espulsione per il fallo sull'ultimo uomo) Gigi Riva avrebbe segnato 50 gol a stagione.
Twitter @StefanoOlivari