Difficile pensare che l’esonero di Sinisa Mihajlovic dalla guida del Torino sia dipeso dalla prevedibile, per le assenze e la differenza di cilindrata, sconfitta in Coppa Italia contro la Juventus. Certo è che l’ultima sua immagine in granata rimarrà quella dell’espulsione per le giuste proteste in seguito al gol del 2-0 di Mandzukic, che ha chiuso una partita in cui peraltro il Torino ha fatto il possibile. L’allenatore serbo è sembrato in bilico fin dall’inizio della stagione, visto che Cairo era convinto di avere una squadra almeno da Europa League o almeno così diceva a quelli che lo accusavano di avere il braccino corto. Poi il buon avvio di campionato, gli ha permesso di arrivare fino ad oggi fra pareggi contro squadre da retrocessione e altri al termine di partite molto ben giocate, come quelle con Inter e Milan.
Al di là degli aspetti tattici, con il Torino ormai stabile sul 4-3-3 (anche con la Juventus questo è stato il modulo), non c’è dubbio che senza gli infortuni e la mezza crisi di identità di Belotti adesso Mihajlovic avrebbe quei 5 o 6 punti in più che adesso lo collocherebbero al sesto posto, dietro le corazzate ma davanti a tutte le realtà medie come, con tutto il rispetto, è il Torino guardando la sua rosa. Senza contare che con un Liajic sano (l’altalena dei suoi rapporti con Mihajlovic meriterebbe un libro) e uno Niang più centrato su quello che deve fare staremmo parlando di ben altre prospettive.
Per Mihajlovic è il quarto esonero in carriera, dopo quelli di Bologna, Fiorentina e Milan. In mezzo un’altra esperienza deludente, come c.t. della Serbia, ma anche due eccellenti stagioni al Catania e alla Sampdoria. Tatticamente non è certo un allenatore rigido, anzi: 4-5-1 a Bologna, a Catania il 4-2-1-3 che ha adottato anche a Firenze, in nazionale e in granata ha inseguito il 4-2-3-1, alla Sampdoria e al Milan tanto 4-3-3, anche se in rossonero ha mostrato quel 4-4-2 che ha ben conosciuto come giocatore. Di sicuro le sue caratteristiche principali, l’essere diretto nei rapporti personali e la fiducia nei giovani (non solo Donnarumma) o comunque negli emergenti, lo fanno rimanere un allenatore con molto mercato. Uno con la sua storia non poteva sostenere di avere in mano un Torino da scudetto, soltando per aziendalismo.