È stato davvero il fine-settimana di José Mourinho, prima con la sospensione delle due giornate di squalifica per la vicenda Serra, poi con la formazione anti-Juve a sorpresissima, senza punte, ed infine con una fortunosa vittoria di corto muso che porta la Roma a quel quarto posto che ormai al di là di ogni progetto rappresenta per tutti la differenza fra il Bene e il Male. La squadra di Allegri pur perdendo ha confermato il suo discreto stato di salute nonostante un Vlahovic che da quando è rientrato, a fine gennaio contro il Monza, non sembra più lui: si muove bene, fa la sponda per i compagni, ma non è quasi mai pericoloso.
Per il resto il solito festival dell’ultima impressione, con mezza testa all'Europa: a questo giro male il Milan, decente l’Inter, bene la Lazio di Sarri che, bisogna dirlo e De Laurentiis lo ha anche detto, non gioca come una squadra di Sarri (fra l'altro il migliore è diventato Luis Alberto, che lui avrebbe ceduto) e che a Napoli ha vinto con merito. Con 15 punti di vantaggio sulla seconda, l’Inter, la squadra di Spalletti non ha alcun problema di pressione: la lotta per lo scudetto è finita, quella per la Champions è viva fra controprestazioni e tribunali, mentre quella per la salvezza dipende dal futuro della Juventus, come si è ben capito in Spezia-Verona, uno di quegli 0-0 che dovrebbe far riflettere chi disprezza i tifosi (l’unico motivo per guardare partite del genere è essere tifosi) e delira di ‘prodotto Serie A’. Dopo qualche anno a straparlare di progetti, di solito concidenti con il maglione attillato di un allenatore quarantenne, il pendolo della storia si è spostato sul resultadismo alla Mourinho.
L’espulsione di Moise Kean al 90’ di Roma-Juventus, a 40 secondi dalla sua entrata in campo al posto di Cuadrado, sembra studiata a tavolino per i soliti discorsi che a qualcuno (Balotelli, Zaniolo, appunto Kean) e applicano e che ad altri, puniti e impuniti, no. Certo dopo il calcione a Mancini, che prima lo aveva trattenuto, la Juventus lo ha perso per 7 minuti, quando stava producendo il massimo sforzo per pareggiare, e la rabbia di Allegri è giustificata. Nella storia della Serie A, almeno in quella moderna, peggio di Kean hanno fatto soltanto Pino Lorenzo nel 1990 quando vestiva la maglia del Bologna, 10 secondi, e Migliaccio nel 2015, 32 secondi in un Atalanta-Palermo. Ma al di là dei numeri e dei post moraleggianti, si capisce bene come mai Mancini per l’attacco guardi con attenzione anche a campionati come quello rumeno, se è vero che sta pensando di convocare Andrea Compagno, peraltro tutt'altro tipo di attaccante rispetto a Kean. Ma il conteggio degli italiani davvero trascinanti nelle prime squadre della classifica dura pochi secondi, quindi nessuna ipotesi azzurra sembra ormai troppo creativa.
Fino a che età si può allenare? Senz’altro fino ai 78 anni di Edy Reja, che poche settimane dopo la sua esperienza da commissario tecnico dell’Albania si è rimesso in gioco sulla panchina del Nova Gorica, squadra in fondo alla classifica del massimo campionato sloveno. Esordio alla grande, battendo il Celje terzo in classifica, in puro stile Reja, uomo che risolve problemi e non ne crea: proprio per questo amato da presidenti difficili come Corioni, Cellino, Lotito e De Laurentiis, del cui Napoli è stato il primo allenatore con tanto di doppia promozione dalla C alla A. Per l’ultimo urrah, forse, della sua carriera Reja (nato a Gorizia da padre sloveno e madre italiana) ha scelto quindi di giocare quasi in casa, in ogni caso in un mondo pieno di venditori di fumo merita la massima ammirazione. Il grande treno è stato la Lazio, dove non è stato certo peggio di predecessori e successori.
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