Spiegare l’importanza di Gianni Minà nel giornalismo e nella cultura italiani è impossibile, per le tantissime cose fatte spesso da indipendente, raramente inserito in una struttura. Quasi sempre un collaboratore, sia pure di successo e fama internazionali. Anche se dopo la sua morte Minà è inglobato nel meccanismo del cordoglio mainstream lui rimarrà un punto di riferimento per chi pensa che il giornalismo sportivo possa e debba andare oltre le celebrazioni dei vincitori ed il linciaggio degli sconfitti. È stato spesso accusato di eccessiva complicità con gli intervistati, ma è un discorso che porterebbe lontanissimo: quanti grandi personaggi, ma purtroppo vale anche per quelli medi e piccoli, concedono interviste esclusive ad un loro critico? O si fa a meno delle interviste, e ci può stare, o si fa a meno della critica, per lo meno della critica espressa in quella stessa sede.
In ambito calcistico fra i mille servizi e interviste una sua medaglia rimane la domanda all’ammiraglio Lacoste durante la conferenza stampa di presentazione del Mondiale 1978, in diretta televisiva: “Siamo stati informati che in questa città da un po’ di tempo sparisce la gente: è una notizia attendibile?”. Il militare interruppe la conferenza e se ne andò, giurandola a Minà. Che si soprese non per questa reazione di regime ma per il gelo dei colleghi giornalisti, anche italiani, come se fosse stato un disturbatore, un provocatore. Da notare che all’epoca fuori dall’Argentina non si era mai parlato di desaparecidos, erano stati i contatti locali di Minà a svelargli non solo la gravità ma anche le dimensioni di questo crimine. Avvertito di strani movimenti davanti al suo albergo, Minà prese il primo volo per il Brasile mentre in televisione alcuni giornalisti argentini lo insultavano e denunciavano una presunta ostilità anti-argentina che stava montando in Italia (stava invece accadendo il contrario, visto il numerro di giornalisti ‘gestiti’ da Licio Gelli che dei militari argentini era grande amico). Ovviamente Minà quel Mondiale non riuscì a seguirlo sul posto, ma quella domanda fuori dal coro rimase nella memoria di molti argentini.
Anche di Diego Maradona, all’epoca diciassettenne che sognava una convocazione di Menotti che non sarebbe arrivata. E quel ricordo, come raccontato dallo stesso Maradona, sarebbe stato una delle basi della simpatia fra i due nata durante il Mondiale 1986 e concretizzatasi in molte interviste, alcune delle quali distrutte da Minà per umana pietà ma tante altre entrate nella storia del calcio: quelle in Messico, quella dopo Italia-Argentina di Napoli, semifinale del Mondiale ’90 (esclusiva planetaria), quella dopo la strana squalifica per doping a USA ’94. Minà si è anche sempre opposto alla narrazione per così dire condivisa sul finale dell’epoca di Maradona al Napoli: la sua teoria, che poi era quella anche del fuoriclasse, e che si erano saldate le volontà dei vertici del calcio italiano di punirlo per le sue parole e quella del Napoli di liberarsi di un mito ingombrante, ingestibile e troppo indipendente. Parlava di Maradona, ma pensava anche un po’ a sé stesso.
Da non dimenticare che Minà fu uno dei pochi giornalisti importanti a difendere, o per lo meno a non attaccare per partito preso, Enzo Bearzot prima del Mondiale di Spagna. Forse non tutti ricordano che quell'Italia era fischiata in quasi ogni stadio, tranne che a Torino (e nemmeno sempre, per i tifosi granata se la prendevano con i giocatori juventini, che nella Nazionale erano in maggioranza), aveva pochi estimatori, in particolare a Roma e nel Sud, ed in questo senso la storia è stata molto aggiustata a posteriori. Minà invitò diverse volte Bearzot nel suo Blitz, la domenica pomeriggio su Rai 2 (una volta il c.t. commentò anche lo spareggio Nuova Zelanda-Cina), mentre un po' dovunque, soprattutto sulla Rai, veniva giudicato un allenatore ed un uomo fuori dal tempo. Ovviamente il giornalista non poteva prevedere la rinascita di Paolo Rossi e tutto il resto: è che a Minà sono sempre piaciute le cause perse. Ma quella e tante altre le ha vinte.
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