Francesco Moser e il record dell'ora, anzi 'i' record dell'ora. Perché il campione trentino non stabilì soltanto quello assoluto (51 chilometri e 151 metri) a Città del Messico, nel 1984, ma il 3 ottobre del 1986, esattamente 30 anni fa, riuscì a compiere l'impresa anche con quello a livello del mare che già era suo, avendolo stabilito soltanto una settimana prima con 48,544. Teatro dell'impresa fu il glorioso velodromo Vigorelli di Milano, fra l'altro nel 2016 tornato alla vita dopo anni bui, con Moser che in quel venerdì autunnale sfondò il muro dei 49 chilometri pedalando per 49,802, ma soprattutto fece 370 metri meglio dello storico record assoluto che Eddy Merckx aveva stabilito nel 1972 a Città del Messico (senza preparazione specifica, però, per non parlare delle ruote lenticolari e delle bici più evolute, al di là del fatto che Moser in pista fosse fortissimo grazie alle sei giorni e all'inseguimento). Quasi 126 giri del velodromo, con un rapporto un po' più leggero rispetto al primo record e con l'Italia che grazie alla diretta televisiva Rai applaudì quella che può essere considerata l'ultima grande impresa in carriera di Moser. Che a caldo, nel dopo-record, al microfono di Adriano De Zan ringraziò pubblicamente i suoi medici Conconi e Ferrari, che lo avevano convinto a riprovare perché consideravano non all'altezza del potenziale di Moser il primo record (oltre che quello messicano). Altri tempi? Altri nomi, forse. Ricordando che molte delle pratiche conconiane e ferrariane negli anni Ottanta erano perfettamente legali. E, per inquadrare tutto nella propria epoca, bisogna dire che quel Moser trentacinquenne era ancora ad ottimi livelli visto che pochi mesi prima nel Giro d'Italia vinto da Visentini si era piazzato terzo dietro all'arcirivale Saronni. Si sarebbe ritirato due stagioni più tardi, dopo avere inseguito e raggiunto anche il record dell'ora indoor.
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