I settanta anni di Roger De Vlaeminck, nato a Eeklo il 24 agosto del 1947, sono un ottimo pretesto per ricordare gli anni, ma sarebbe meglio dire decenni, in cui il ciclismo italiano è stato al centro del mondo sia a livello economico sia organizzativo, attirando nelle sue squadre (a volte anche squadrette) tutti i più grandi campioni. Nel 2017 nessuna delle 18 squadre con licenza World Tour, cioè quelle che partecipano di diritto ai grandi eventi UCI senza dover mendicare inviti, è italiana anche se qualche italiano corre per queste maglie (Nibali per la Bahrain-Merida e Aru per l'Astana, per citare i due più famosi) e molti altri lavorano dietro le quinte. Nessuna squadra World Tour ha un main sponsor italiano, tutto si riduce a forniture tecniche e sponsorizzazioni minori.
Il fenomenale belga da corse di un giorno, bravo anche nel cross e in pista, arrivò in Italia nel 1972, quindi nel pieno della carriera, quando già aveva vinto Liegi-Bastogne-Liegi e Freccia Vallone, per correre nella Dreher di Franco Cribiori: proprio da 'italiano' vinse la prima delle quattro Parigi-Roubaix che l'avrebbero fatto definire 'Monsieur Roubaix', record che in questa pazzesca corsa è stato soltanto eguagliato, da Tom Boonen. Poi in Italia De Vlaeminck avrebbe corso per la Brooklyn, sempre diretta da Cribiori, con la cui maglia (quella che tutti ricordano associata a De Vlaeminck) vinse Milano-Sanremo, la seconda (con una storica rimonta sul giovane Moser, che si sarebbe poi rifatto), la terza e la quarta Roubaix, il Giro delle Fiandre, due Giri di Lombardia. Fece epoca nel 1978 il suo passaggio alla Sanson, a formare un dream team insieme a Moser con Waldemaro Bartolozzi come direttore sportivo. In squadra con il trentino, che iniziò proprio quell'anno il suo filotto di Roubaix (con il belga secondo e in quel caso onesto gregario), vinse la seconda Sanremo. La convivenza con Moser era resa evidentemente impossibile dall'obbiettivo comune, quindi nel 1979 un altro cambio di squadra ma sempre rimanendo in Italia, alla Gis Gelati. Nel suo ultimo anno da noi vinse ancora la Sanremo, in volata su Saronni e Moser, arrivando di nuovo secondo alla Roubaix dietro a Moser. A inizio anni Ottanta, quando già aveva perso un po' della sua brillantezza, tornò in Belgio e continuò a vincere anche se molto meno come quantità e qualità. Nel 1984 un ultimo urrah italiano alla Gis, dove nel frattempo era arrivato Moser: partecipò al Giro vinto dal trentino, ma non ne aveva più né per le volate di gruppo né per i suoi micidiali contropiede. Le statistiche dettagliate di De Vlaeminck fanno impressione, per la sua continuità ad alto livello, ma quello che le statistiche non dicono è che probabilmente era l'unico corridore che Eddy Merckx soffriva psicologicamente.
Il ricordo dei tempi andati non deve far dimenticare il presente: un 2017 in cui l'economia italiana non è inferiore a quella belga, olandese, svizzera, australiana, eccetera, ricordando i main sponsor delle squadre World Tour. La retorica del declino si può applicare ad altri campi, nel ciclismo si tratta forse solo della scomparsa di imprenditori pieni di passione. Quelli che inseguivano i Merckx e i De Vlaeminck, o che per lo meno trattenevano i Moser. Tempi diversi, perché tutto avveniva in cinque o sei nazioni mentre oggi si corre dappertutto, ma i soldi e il loro valore sono rimasti uguali.