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La positività del campione britannico a un controllo antidoping effettuato durante l'ultima Vuelta è l'ennesima mazzata per il ciclismo. Che però rimane leggermente più umano di quello del recente passato...
La positività di Chris Froome all’antidoping sembra fatta apposta per scatenare le due solite considerazioni del calciofilo da bar (“Tutti dopati, uno sport da abolire”) e dell’appassionato acritico di ciclismo (“Solo da noi si ha il coraggio di colpire le stelle”), ma nel concreto si tratta di una vicenda non inedita e che forse nemmeno merita il dibattito pseudoscientifico che sarebbe poi la linea difensiva del Team Sky, cioè l’interazione fra una dose consentita di salbutamolo e alimenti, integratori, bevande, eccetera, assunti dal vincitore di quattro Tour e dell’ultima Vuelta: proprio alla corsa spagnola si riferisce il test antidoping, per cui sono già state effettuate le controanalisi (con lo stesso esito) e che ha evidenziato nelle urine di Froome una concentrazione di salbutamolo doppia rispetto al massimo consentito di 1000 nanogrammi per millilitro.
Insomma, pochi equivoci nonostante l’assunzione del farmaco broncodilatatore sia stata ammessa da Froome e della sua squadra, per curare l’asma di cui soffrirebbe da sempre. Va precisato che non si tratta di una delle famigerate esenzioni terapeutiche che rendono ridicoli i podi di molti sport, ma di un farmaco tutto sommato normale che diventa doping quando viene assunto in dosi massicce. Sicuro è che gli venga tolta la Vuelta, che a questo punto andrebbe a Vincenzo Nibali, meno certe le pene visto che la casistica del passato presenta vari gradi di pesantezza: un anno a Petacchi, nove mesi a Ulissi e al moldavo Pliuschin, pochi mesi ad altri. Improbabilissimo a questo punto vedere Froome alla partenza del prossimo Giro d'Italia, come annunciato. Non bisogna però linciarlo, per il principio che i fenomeni di altri sport, sempre al massimo pur giocando una partita ogni tre giorni, non vengono toccati. E nemmeno inerpicarsi in dibattiti scientifici senza essere medici o biologi: è materia per l’UCI e i periti di Froome. Un furbo e/o disonesto da squalificare? Facciamolo, ma senza lezioni da chi non accetta di essere controllato davvero a sorpresa.
Due cose si possono però dire con certezza. La prima: la malattia non è un’attenuante. Hai un attacco d’asma o un peggioramento, come ha spiegato lo stesso Froome? Non corri, non è obbligatorio, è come se ti fossi rotto un ginocchio. Lo sport di alto livello non è cosa per tutti, è selettivo e crudele: se non si risponde a certi standard fisici si deve fare un altro lavoro (o, nel caso di Froome, passare alla corsa successiva). Seconda considerazione: la contrapposizione fra il ciclismo ‘abbastanza’ pulito di oggi e quello sporco del passato, in particolare quello degli anni Novanta e dei primi Duemila, è in parte un‘invenzione giornalistica e dei dirigenti del ciclismo, ma ha anche una base di verità. La potenza massima, espressa in watt, e la famosa VAM (velocità ascensionale media), riferite a gare con percorsi paragonabili, indicano che si va mediamente più piano rispetto al recente passato. Indice di una pulizia ‘media’ superiore, di controlli più seri, di un ciclismo che è fenomeno mondiale e non più feudo di parrocchiette europee (anche italiane) dove nessuno osava colpire l'amico. Significativo che proprio nell’ultima Vuelta, sulla salita dell’Angliru che è fra la più famose, nessuno dei grandi, da Froome a Nibali, abbia avvicinato le migliori prestazioni all time. Tutti ci siamo esaltati per il numero di Contador, che però a inizio millennio sullo stesso Angliru sarebbe arrivato a tre minuti dal vincitore sui circa tre quarti d'ora che ci vogliono per la scalata. Già che siamo in vena di rivangare il passato, si possono anche ricordare grandi asmatici impuniti del passato, da Indurain a Zulle, da Rominger a Oscar Pereiro. Chi con perizie mediche, chi per scappatoie regolamentari, tutti hanno conservato trofei e altro.
In sintesi: il ciclismo ha negli ultimi anni un po’ migliorato la sua etica, ma emergere in qualsiasi competizione (anche amatoriale) senza prendere niente di proibito o senza viaggiare al limite delle regole è semplicemente impossibile.
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