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Battuto dallo spagnolo nella semifinale degli Australian Open, l'azzurro diventerà il numero 6 del mondo. Ormai va sotto solo con i grandissimi...
Matteo Berrettini quasi come Rafa Nadal. Appunto, quasi. Perché un campione del presente non è un fuoriclasse che ha fatto e sta facendo la storia del tennis, uno che vincendo la finale arriverebbe a quota 21 Slam vinti, record assoluto staccando Federer e Djokovic. Con il suo splendido Australian Open, chiuso in semifinale perdendo in quattro set da Nadal, Matteo Berrettini è diventato il tennista numero 6 del mondo e a pensarci a mente fredda è una cosa pazzesca se pensiamo ai decenni in cui ci siamo esaltati, magari anche per marketing editoriale, per giocatori che nei tornei veri non esistevano e che ogni tanto battevano qualche pari grado in Coppa Davis.
Questo non toglie che che Berrettini debba ancora migliorare tecnicamente, soprattutto sul rovescio, se vorrà essere vincitore di Slam nel momento in cui Djokovic e Nadal non esisteranno più. La citazione del serbo non è casuale, perché senza il cinema messo in piedi dal governo australiano e dal giocatore nei quarti invece di Monfils l’avversario sarebbe stato Djokovic: giusto dirlo, anche valutando il cammino di Nadal, perché un torneo dello Slam senza il numero uno del mondo, reduce da un’annata in cui di Slam ne aveva vinti tre su quattro, va asteriscato.
Tornando a Berrettini, bisogna sottolineare la sua nuova dimensione perché una semifinale in uno Slam la possono raggiungere buoni giocatori che trovano un buco in tabellone, ma tre sono un’altra cosa: quella agli US Open 2019, prima di Melbourne unico incrocio con Nadal, la finale di Wimbledon dell’anno scorso persa con Djokovic e adesso questa semifinale in Australia. Tre semifinali Slam, come Adriano Panatta in tutta la carriera, senza dimenticare però che una delle tre, tutte al Roland Garros, Panatta la trasformò nel trionfo del 1976.
Ma rimanendo sull’attualità, cosa ha detto Berrettini-Nadal? Il discorso tattico è scontato: per tutta la partita il miglior colpo di Berrettini, il diritto ad uscire, si è scontrato con il diritto di Nadal, e in più nei primi due set lo spagnolo è stato molto dentro al campo prendendo più rischi, cosa che del resto fa da almeno due stagioni e che gli ha consentito di allungarsi la carriera sotto la supervisione di Carlos Moya. Quello tecnico è invece più insidioso, perché è facile dire che Berrettini deve migliorare nel rovescio e soprattutto nel lungolinea di rovescio, ma in realtà con tutti i più forti tranne che con Nadal e Djokovic l’italiano se la gioca già adesso alla pari. Avere margini di miglioramento non significa migliorare: anche se McEnroe dovesse allenarlo 24 ore al giorno, dubitiamo che Sinner si metta a fare 50 stop volley a partita. Il Berrettini attuale soltanto con i suoi colpi di entrata ha davanti almeno quattro o cinque anni in cui poter alzare un grande trofeo: all’appassionato occasionale, che magari si esalta per il calciatore numero 10.000 del mondo se gioca nella sua squadra, bisogna dirlo proprio nel momento della sconfitta.
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