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L'oro vero di Catherine Bertone

L'oro vero di Catherine Bertone

Redazione

14 agosto 2016

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La maratona è una di quelle medaglie che vale tutta un'edizione dei Giochi, possiamo dirlo visto che in tempi neppure antichi siamo stati, come italiani, sia al vertice (Bordin 1988 e Baldini 2004) sia dispersi nel gruppo. Si corre in tutto il mondo, a tutte le età, una pratica trasversale ai ceti sociali e con numeri enormi, non paragonabile alla scherma o al tiro al volo. Lo diciamo con tutto il rispetto per medaglie frutto di un lavoro pazzesco, ma vinte contro una concorrenza minima. Tornando alla maratona, quella femminile di Rio è stata al solito monopolizzata dall'Africa, anche se perdendo pezzi importanti lungo la strada e quindi appena giù dal podio quasi tutti i continenti sono stati rappresentati. L'Italia non si aspettava molto: perché Valeria Straneo, 40 anni, veniva da due anni pieni di problemi fisici ed in ogni caso non aveva più di due mesi di allenamento vero, perché Anna Incerti, 36 anni, si era fatta male pochi giorni fa, perché Catherine Bertone era all'esordio assoluto in una grande maratona a 44 anni. Invece la Straneo è arrivata tredicesima, correndo sotto le due ore e e trenta, tirando fuori tutto e rimanendo almeno nella prima metà con le migliori a tiro, mentre la Bertone è incredibilmente arrivata venticinquesima: ottava fra le europee, prima senza dubbio fra chi è davvero dilettante perché da Londra 2012 la Straneo, che nasce come amatrice, non lo è più. Sia lei, nella vita reale medico, che la ex maestra d'asilo Straneo, non sono tesserate per gruppi militari e la passione con cui sono arrivate alla loro età e ai loro risultati spiega molte cose dell'organizzazione dello sport italiano. Non erano onestamente del livello di Jemima Sumgong, che da anni è protagonista nelle majors (la keniana ha trionfato di fronte a un pubblico al minimo storico e con scarso entusiasmo), ma non sono il pretesto per il solito triste bilancio riguardante l'atletica italiana. Lo sono però per dire che rappresentano il vero spirito olimpico, cioè quello di chi ha un sogno e non pretende che diventi una professione anche se nel caso della Straneo alla fine lo è diventata quasi per caso. Non c'è alcuna utilità sociale nell'investire centinaia di milioni di euro ogni anno per sperare di vincere una medaglia nello skeet o nel judo e nemmeno nella maratona, non è colpa di nessuno se per quattro anni la maggior parte delle persone troverà più spettacolare il calcio. Queste donne hanno avuto e hanno una vita, che non gli ha impedito di inseguire e realizzare il sogno più grande. twitter @StefanoOlivari

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