È banale ma anche aderente al vero affermare che Felice Gimondi avrebbe vinto molto di più se non fosse vissuto nella stessa era di Eddy Merckx. Il problema di Andy Murray è che di Merckx tennistici ne ha incrociati tre, quindi la vittoria in un torneo prestigioso come quello di Roma è un risarcimento soltanto parziale per la sua sfortuna anagrafica. Il tennis è così, non occorre essere troppo vecchi per ricordare numeri uno del ranking ATP come Muster, Rios, Kuerten, Hewitt, Ferrero, Roddick... tutti campioni, beninteso, e anche vincitori di Slam (tranne Rios), ma di cilindrata, completezza e continuità nel tempo nemmeno paragonabili a quelle di Murray che numero uno non lo è mai stato: nel mondo di oggi non sarebbero probabilmente al livello nemmeno della A2 dei Berdych, degli Tsonga e dei Gasquet (altri tre capitati per loro sfortuna nella generazione dei fenomeni, peraltro). Però dicevamo di Murray, il cui primo torneo vinto risale a più di dieci anni fa, che a Roma ha avuto indubbiamente un tabellone fortunato ma che in finale è stato vicino alla perfezione contro un Djokovic inspiegabilmente nervoso, anche con l'arbitro, e di sicuro molto stanco per le battaglie con Nadal nei quarti e Nishikori in semifinale. Essendo Murray-Djokovic un superclassico fin dai tempi dell'attività junior, lo scozzese in questa primavera sulla terra battuta ha scelto di giocare due passi avanti a costo di essere leggermente più falloso: tattica che ha pagato a Madrid, dove ha battuto Nadal perdendo in finale con Djokovic, e ancora di più al Foro Italico, dove ha funzionato tutto ciò che di solito cala nei momenti estremi contro i tre Merckx: la seconda palla di servizio (la prima è forse la migliore del circuito, per affidabilità se non per velocità), il diritto incrociato, le scelte, addirittura i corpo a corpo indotti da smorzate in cui il serbo è maestro. Va detto che pur avendo perso contro di lui 23 delle 33 sfide nel mondo dei grandi, Murray non ha mai sofferto psicologicamente il coetaneo, visto che i due soli Slam vinti (U.S. Open 2012 e Wimbledon 2013, quando lo seguiva Ivan Lendl) li ha conquistati in finale proprio contro di lui: da quell'epoca ad oggi lo aveva però battuto, prima di Roma, soltanto una volta... Tutto questo non significa che Murray sia diventato il favorito per il Roland Garros che inizia domenica. Pur essendo sempre stato ad un ottimo livello sulla terra e ancor di più su una terra compattata ai confini del cemento come quella parigina, il numero uno per distacco rimane Djokovic. Ma è vero che Nadal, peraltro tornato a ottimi livelli fisici, ha perso un 10% di potenza che nei punti-braccio di ferro (con Djokovic a Roma ce ne sono stati di impressionanti) si sente, quindi una replica della finale di domenica scorsa è più che possibile. Su tutto il solito concetto: la cosiddetta Next Generation a questo giro (Kyrgios, Zverev, Coric, mettiamoci anche il più anziano Thiem) è davvero forte ma mettendo un asterisco sul recupero di Federer si può dire che i quattro grandi siano ancora vivi e soprattutto con tanti obbiettivi ancora da raggiungere. Soprattutto Murray.