Il metro con cui si giudica Novak Djokovic è il seguente: non vincere il quinto Slam di fila è nel suo caso considerata una delusione. Aggravata dal fatto che la prematura uscita a Wimbledon sia avvenuta contro il quasi coetaneo Sam Querrey, un passato da grande speranza americana ma ora gran servizio e poco più, al termine di una partita dove il numero uno del mondo un po' ha subito gli ace dell'avversario e un po' ha perso in frangenti decisivi anche normalissimi, per lui, scambi da fondo campo. Sfuma così, forse in maniera definitiva visto che stiamo parlando di un 29enne, il sogno di conquistare il 'vero' Grande Slam, quello nello stesso anno solare, che così rimane un'esclusiva di Don Budge e Rod Laver. La sconfitta con Querrey fa sognare un po' tutti i suoi migliori avversari, a partire da Murray per arrivare a Federer che l'avrebbe ottimisticamente incontrato in semifinale, per non parlare di Raonic che se lo sarebbe beccato nei quarti, ma Djokovic merita alcune considerazioni già adesso. Perché è tutto l'anno che è nervosissimo, anche se il nervosismo non gli ha impedito di conquistare Australian Open e Roland Garros (ma anche Indian Wells, Miami e Madrid)... Il modo sempre più stizzito con cui si rivolge al suo angolo fa pensare che il rapporto con Becker cominci ad avere qualche crepa, o peggio ancora non sia mai nato. Un'operazione di marketing, ben studiata, che fra l'altro ha seguito la moda del campione degli anni Ottanta ad affiancare quello di adesso come motivatore (tanti esempi, l'ultimo la collaborazione McEnroe-Raonic), che però sul piano tecnico poco ha dato al gioco di Djokovic ed anzi ha aggiunto una voce, non vogliamo dire una bocca da sfamare, in più al suo entourage. C'è probabilmente anche qualche problema fisico, ma quelli se li trascinano tutti e comunque lo ha gestito fino a poche settimane fa. C'è sicuramente una superiorità così netta anche sui primissimi del mondo, sancita non dal bar ma dai punti ATP (quasi doppio del secondo e il quintuplo del numero 10 del mondo!), che gli ha tolto qualcosa come carica interiore: Nadal è fermo ai box chissà per quanto, Federer ha 35 anni, Murray a volte (come a Roma) lo può battere ma ha un gioco troppo a specchio per fargli davvero paura, Wawrinka è troppo imprevedibile, le seconde linee della sua generazione stanno invecchiando senza alzare il livello, mentre la cosiddetta Next Generation è sempre Next. Il declino dei campioni non segue un percorso unico, a volte si spegne la luce come fu per Borg o Sampras e altre è invece un lungo addio come per McEnroe o appunto Becker, ma come sensazione Djokovic è molto, moltissimo lontano dal giorno del ritiro. Forse questo Wimbledon gli darà un po' di benzina in più. Anche se il primo segnale di reazione, la rinuncia fra due settimane al quarto di finale di Coppa Davis contro la Gran Bretagna di Murray, non è dei migliori.