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Djokovic nell'età del guru

Djokovic nell'età del guru

Redazione

3 novembre 2016

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Nel tennis di alto livello il calo fisico è quasi sempre anticipato da quello mentale e Novak Djokovic è soltanto l'ultimo esempio di questa casistica. Anche se è ridicolo parlare di declino per il numero uno del mondo e vincitore nel 2016 di 2 Slam, più una finale, su 4, i segnali di un distacco psicologico dal miglior Djokovic ci sono. Le dichiarazioni volte a mettere lo sport in prospettiva, al di là dei problemi nel privato, le tensioni con il suo allenatore storico (Marian Wajda) e con quello mediatico (Boris Becker), adesso anche la collaborazione con Pepe Imaz che da qualcuno è definito guru ma altro non è che uno dei mille mental coach in circolazione nel tennis. Un mental coach con un passato da tennista professionista negli anni Novanta, sia pure di secondo piano, che da allenatore-motivatore associa tecniche meditative prese da varie filosofie o religioni a un lavoro tennistico con l'obbiettivo di un gioco più vario e coerente con la personalità dei suoi allievi (parole sue), fra i quali c'è anche la Hantuchova. Amore e pace è il suo slogan, non esattamente inedito. Insomma, la testa del Djokovic 29enne, che si è presentato a Parigi Bercy insieme a Imaz e senza Wajda-Becker, è diversa da quella da quella del Djokovic 25enne ancora affamato e centrato sul tennis. Di certo non si può fare un parallelo con il Bjorn Borg che nel 1991 si presentò a Monte Carlo, dopo sette anni (ma in pratica dieci) di esibizioni, seguito dal vecchio Tia Honsai (vero nome Ron Thatcher), che al contrario di Imaz con il tennis non c'entrava nulla ma era entrato in sintonia con quel Borg in caduta libera sul piano personale, fra collassi e tentativi di suicidio (della allora moglie Loredana Berté e forse anche suoi), uniti a rovesci imprenditoriali. Il guru fu esonerato dopo la sconfitta (giocando con la racchetta di legno!) al primo turno con Arrese e il 35enne Borg proseguì nel suo commovente tentativo di rientro, in cui non riuscì a vincere nemmeno una partita ma forse ritrovò se stesso. Djokovic si rende invece ancora conto di essere Djokovic per merito del tennis e dei suoi sacrifici fatti per arrivare in vetta, impossibile che si ritiri prima di crollare davvero come risultati, senz'altro non lo farebbe mai da numero 2 come Borg. La sua sfida è quella di vincere da adulto, concetto che non riguarda tanto l'età quanto il mettere il tennis in altra prospettiva. Al vecchio Nole come motivazione sarebbe bastata la difesa della posizione numero uno, che Murray (ieri sera sopravvissuto a un Verdasco di extralusso) potrebbe raggiungere vincendo a Parigi con il serbo fuori dalla finale. Quello nuovo vuole andare oltre.

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