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Un campione di regolarità, il ruolo di Kyrgios, la generazione di Tsitsipas e l'impresa di Nardi
La Sinnermania fa sembrare tennisti normali tutti quelli che non sono Sinner, una cosa profondamente ingiusta che certo non è colpa del numero 1 del mondo ma delle truppe cammellate che hanno scoperto il tennis negli ultimi anni. Di sicuro Fabio Fognini avrebbe meritato un bel pezzo di una delle due ultime Davis, per tutto ciò che ha dato al tennis italiano, oltre che ovviamente a sé stesso, negli ultimi due decenni. Il suo 2024, a 37 anni suonati, si è concluso alla posizione numero 91 nel ranking ATP, diciassettesima stagione nei primi 100 del mondo, cioè in quell’élite che può partecipare agli Slam senza passare dalle qualificazioni. In questo campionato di regolarità ad alto livello Fognini è undicesimo, in una classifica dove le 23 stagioni nei primi 100 di Federer potrebbero essere raggiunte fra 3 anni soltanto da un Djokovic quarantenne. Al di là dei numeri è da sottolineare che Fognini chiuse per la prima volta un anno nei primi 100 nel 2007, in una stagione in cui da numero 95 fu il quinto italiano dietro Starace (31), Volandri (40), Seppi (50) e Bolelli (67), ben altra situazione rispetto al 2024 con 9 italiani nei primi 100, al di là del dettaglio del numero 1 del mondo. In quel 2007 le donne italiane fra le prime 100 WTA furono addirittura 8: Schiavone (numero 24), Santangelo (35), Garbin (36), Pennetta (39), Knapp (50), Errani (69), Vinci (73) e Camerin (100), contro le 3 attuali. Insomma, fra maschi e femmine 12 nei primi 100 oggi, contro i 13 del 2007. Poi è chiaro che gli Slam cambiano tutto: nessun italiano nel 2007 sembrava poter andare oltre il muro dei quarti, comprese Schiavone, Errani, Pennetta e Vinci, mentre oggi pensano tutti in grande.
Nick Kyrgios è diventato il nemico pubblico numero 1, almeno per l’italiota del tennis che fino alla vicenda Clostebol di Sinner, con l’ITIA che prima ha silenziato la positività dell’italiano, come è accaduto in alcuni casi (tipo Swiatek) ma non in tanti altri, e il sistema che poi lo ha messo alla gogna in attesa del giudizio del TAS sul ricorso WADA. Diciamo gogna non perché Sinner meriti un trattamento di favore rispetto al numero 500 del mondo, ma perché la sua immagine verrà rovinata anche nel caso non venga sanzionato e questi mesi supplementari (c'è chi parla di sentenza a metà marzo) di attività sub judice stanno passando senza alcun senso, dal punto di vista della giustizia e della semplice acquisizione delle prove. Questo va detto a prescindere dal merito della vicenda. Di sicuro Kyrgios, che dovrebbe tornare al tennis vero ai prossimi Australian Open dopo due anni di inattività (una sola partita nel 2023, zero quest’anno), si è ritagliato il ruolo mediatico del villain in un ambiente molto ipocrita, dove quasi tutti sono pubblicamente schierati dalla parte di Sinner ma molti (anche in Italia) in realtà godono di questa sua situazione di incertezza, che in qualche modo giustifica le loro sconfitte. Kyrgios, per tanti versi il contrario di Sinner (ha buttato via una talento immenso, per pura pigrizia), dà insomma voce a una minoranza silenziosa ma non esigua. Divertente comunque notare come adesso che in ogni messaggio social sottolinea il suo non aver fallito test antidoping, pur senza fare confronti con Sinner, Kyrgios non sia più ‘uno vero, un personaggio, come i tennisti di una volta’.
Quale 2024 per Stefanos Tsitsipas? La bravata del video mentre guida la Aston Martin a 275 chilometri all’ora è indicativa del momento di un campione di 26 anni a metà del guado, per non dire in caduta libera, dopo il faticoso divorzio dal padre allenatore, l’uscita dai primi 10 del mondo e un 2024 in cui non ha raggiunto la semifinale in alcuno Slam: da salvare il trionfo a Monte Carlo e la buona Olimpiade, chiusa nei quarti contro Djokovic per l’esponente più elegante e più classico della vera generazione perduta, quella degli Zverev, dei Medvedev e dei Rublev, schiacciata fra i Big Three e l’era Sinner-Alcaraz. Questo per dire che le vittorie si contano ma anche si pesano, visto gli albi d’oro degli Slam non hanno Tsitsipas (e nemmeno Zverev o Rublev, con Medvedev presente una volta sola) ma sono pieni di giocatori normali ma bravissimi a dare il massimo in stagioni di transizione.
Spesso ce le cantiamo e ce le suoniamo da soli, vedendo imprese di tennisti dove ci sono soltanto ordinarie sorprese, per questo è notevole che sia stata l’ATP a considerare impresa dell’anno quella di Luca Nardi contro Djokovic a Indian Wells, che fra l’altro ha permesso al pesarese di entrare per la prima volta fra i primi 100 del mondo. Definirla impresa non suona esattamente come un complimento per Nardi, nessuno direbbe una cosa del genere di uno con ambizioni da Slam, ma certo è che mai come quest’anno si è visto un effetto di trascinamento verso l’alto: tanti italiani, ognuno al suo livello, hanno dato il massimo, e anche senza fare il solito esempio della Svezia (oggi il primo rappresentante della terra di Borg, Wilander e Edberg è numero 329) bisogna avvertire che non sempre sarà così.
stefano@indiscreto.net
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