Il campionato italiano si giocava già da 12 anni, ma soltanto la prima partita della Nazionale azzurra segnò la nascita di una coscienza calcistica pura e nazionalistica. Era il 15 maggio 1910, esattamente cento anni fa. Al timone, un Ct che si chiamava Umberto Meazza, che commerciava in vino e faceva l’arbitro per hobby. In campo, rappresentanti di tessuti, intagliatori sul rame, ragionieri. Altro che i professionisti acclamati di oggi.
Le principali squadre europee, in testa quelle britanniche, da parecchio tempo si sfidavano in incontri internazionali. Fin dalla fine del 1909, i giornali iniziarono una Nazionale italiana: in fondo mancavamo solo noi e la Spagna. Il Guerino non c’era ancora - arriverà “solo” nel 1912 - ma il suo futuro direttore, Giulio Corradino Corradini, insieme ai colleghi Italo Vittorio Brusa e Raimondo Astillero, fu tra i primi ad aderire al sondaggio lanciato dalla Gazzetta dello Sport. La segreteria dell’allora trisettimanale fu sommersa da decine di lettere di addetti ai lavori che suggerivano i nomi dei migliori giocatori dello Stivale. Prima volta di un futuro popolo di Commissari tecnici.
INIZIANO I PREPARATIVI
Si prese contatto con la quotata Ungheria, ma l’accordo con i magiari saltò per i rimborsi-spese. Si optò pertanto sulla Francia, che stava vivendo uno scisma federale e mandava in campo elementi delle società di medio calibro situate a Est di Parigi o a Nord della Senna, come il Bon Conseil, il Vitry, l’Etoile des Deux Lacs e la Garenne-Colombes. L’assenza di importanti sodalizi parigini, come il Club Français, lo Stade o il Cercle Athlétique, significava una squadra non trascendentale. Il giocatore più qualificato era il centrosostegno Jean-Baptiste Ducret, che raccoglierà 20 presenze in tutto, seguito a ruota da Jean Rigal, futuro assistente di Gaston Barreau ai Mondiali del 1958. Etienne Jourde e Maurice Olivier, la mezzala destra Henri Bellocq e il centravanti Henri “Leon” Mouton erano gli altri elementi di un certo rilievo. Fu così che ai primi di maggio vennero allestite, sui campi di Milan e Inter - l’Arena era occupata da uno sciopero dei muratori - due gare tra “possibili” e “probabili”. Al termine delle due prove di selezione la formazione fu decisa da una commissione di arbitri, tutti ex calciatori, diretta da Umberto Meazza (Us Milanese). Con lui c’erano Agostino Recalcati (Us Milanese), Giannino Camperio ( Milan), Alberto Crivelli (Ausonia) e Giuseppe Gama (Inter). Mancavano i migliori giocatori della Pro Vercelli: il portiere Innocenti, il terzino Binaschi, la mediana Ara-Milano- Leone, gli “avanti” Rampini e Corna, tutti squalificati per aver rinunciato a giocare lo spareggio per il titolo contro l’Inter. Assenti anche l’ala dell’Inter Franco Bontadini (impegni di lavoro) e il difensore del Milan Marco Sala (squalificato per una rissa).
I LEONI NELL’ARENA
Domenica 15 maggio, il campo dell’Arena Civica fu portato al limite delle dimensioni regolamentari, forse per approfittare della stanchezza dei transalpini, provati da un viaggio notturno di 10 ore in treno e reduci da rovinose sconfitte contro Belgio (0-4) e Inghilterra (0-10). Gli spettatori che varcarono i cancelli furono, per alcune fonti, 4mila, ma addirittura 6mila o 8mila per altre. Colpo d’occhio splendido e qualificatissima tribuna stampa: Carlo Magno Magni (Gazzetta dello Sport), ex giocatore di Mediolanum e Us Milanese, il brizzolato Anton Giulio Bianchi, che scriveva per il Corriere della Sera, Il Secolo e la Lettura Sportiva, il torinese Giulio Corradino Corradini, firma de La Stampa, Gazzetta del Popolo e La Stampa Sportiva. Seguiranno l’evento, con anonime corrispondenze telefoniche, anche la torinese La Gazzetta del Popolo e i milanesi La Perseveranza e Il Foot-Ball. Silenzio sui giornali genovesi, fiorentini e romani.
IN MAGLIA BIANCA
I giocatori italiani vestono camicia bianca con colletto e polsini inamidati. Sul petto, sopra il taschino, è cucito un rettangolo tricolore. Forse per troppa fretta, era stato dimenticato lo stemma sabaudo. L’azzurro, o ancora meglio il “bleu marinaio”, ispirato ai colori di Casa Savoia, sarebbe arrivato solo nel 1911. I francesi sono invece in maglia a strisce bianca e azzurra, con paramani rossi. Bella giornata primaverile, umida, ma baciata dal sole con 20 gradi, forse troppi per il corrispondente de L’Auto (progenitore de L’Equipe) che parlerà di “chaleur accablante”, caldo soffocante. Il capitano francese Jourde vince il lancio della monetina e sceglie il campo. Agli italiani di Calì la palla, ma anche il sole in faccia.
UN SOLO CAPITANO
Francesco Calì è il capitano di quella primissima Nazionale ed è anche l’unico proveniente da squadre genovesi. Compie 28 anni il giorno dopo la gara, nella quale gioca terzino sinistro. Nato a Riposto (Catania), aveva appreso il football in collegio a Zurigo e a Ginevra. Arrivato nel 1901 a Genova, Calì lavorava come fotografo, editore e commerciante di cancelleria (fotografava e produceva persino cartoline nel suo negozio di Via San Luca). Con il fratello Salvatore - portiere - aveva fondato la sezione calcio dell’Andrea Doria, dopo una stagione da centrattacco nel Genoa. Il suo “allenamento” consisteva nell’alzarsi ogni mattina alle 5 e percorrere di corsa i 5 chilometri tra Corso Firenze e lo stadio Ferraris. Sarà colpito da due pallottole austriache nella battaglia del Monte San Michele ( Gorizia) e nel 1918 verrà nominato responsabile del carcere militare di Forte Sperone a Genova, dove venivano reclusi i prigionieri di guerra serbi e croati.
Fu così umano e benvoluto che un gruppo di detenuti gli donò, in segno di riconoscenza, un bassorilievo in ardesia inciso a mano con tralci e foglie d’edera.
IL PORTIERE ARTISTA
Grande amico di Calì è il portiere Mario De Simoni. Va verso la sua porta e alza gli occhi verso gli spalti: tutta quella gente è lì per una partita di football, da non crederci. Mario ha 22 anni e studia disegno all’Accademia di Brera. È tesserato per l’Unione Sportiva Milanese e tra i numerosi sport che pratica (100 metri, salto in lungo, ginnastica, nuoto), il calcio è quello che gli piace di più, ma mai avrebbe pensato di diventare un giorno il primo guardiano dei pali della Nazionale. Negli Anni 20, dopo brevi trascorsi da allenatore con Derthona e Fanfulla, lo ritroveremo davanti al bancone del suo negozio-laboratorio di palloni di cuoio, sci di legno e attrezzi per l’atletica, tra cui giavellotti e dischi.
Da lui si servono l’olimpionico Adolfo Consolini, ma anche un bimbetto dalle braghe corte, di nome Sandro Mazzola, che così lo ricorda: «Il mio patrigno mi regalò a Natale il primo paio di scarpe da gioco, comprate proprio da De Simoni. Io e mio fratello Ferruccio abitavamo in centro a Milano e raggiungevamo il suo negozio a piedi; soldi per il tram non ce n’erano». I Mazzola, una volta diventati calciatori di Serie A, gli spediranno una foto autografata. Gesti di cortesia “d’antan”.
INIZIA LA PARTITA
Ma torniamo a quel pomeriggio all’Arena: alle 15,50, l’inglese Henry Goodley fischia l’inizio. Originario di Basford (Nottingham), 32 anni, fa il perito tessile a Torino ed è il trainer della Juventus con trascorsi da centravanti in squadrette del Nottinghamshire (Basford Wanderers e Notts Rangers). Dopo cinque minuti, il primo tiro verso la porta francese lo scocca l’ala sinistra Arturo Bojocchi, 21 anni, forse il più piccolo giocatore della storia azzurra: è alto appena un metro e 60. Come De Simoni e Varisco, è della Us Milanese e nel 1914 raggiungerà il fratellastro Giannino De Andreis, detto anche Bojocchi II, al Saronno, in Promozione. Il calcio ovviamente non è la sua occupazione principale: fa il meccanico nell’azienda automobilistica Romeo e poi tipografo alla Ermenegildo Primi di Piazza Duomo.
Un boato. Al 13esimo minuto l’Italia è in vantaggio: Bojocchi serve Lana, conclusione da 35 metri e rete! E' il primo, storico gol. Oggi siamo arrivati a 1.238. Raddoppio al 20’ con una sassata da fuori area del 19enne Virgilio Fossati. Un gol bellissimo, che forse lo sfortunato centromediano dell’Inter ricorderà quando - sei anni dopo - con i gradi di sottotenente di complemento in fanteria, colpito sui reticolati di Monfalcone, vivrà gli ultimi istanti di una vita straordinariamente intensa, benché breve. Alto, dinoccolato, con i capelli folti, bruni e a spazzola, Fossati aveva studiato al Collegio Facchetti di Treviglio, per poi passare alla scuola commerciale G.B. Piatti di Milano. Morirà appena 25enne.
Italia - Francia è abbinata all’8° Congresso della Fifa, che conta già una decina di federazioni iscritte. Subito dopo il 2-0, entrano i delegati, provenienti da Palazzo Marino, sede del Touring Club di Milano. Ci sono gli inglesi Daniel Woolfall e Frederick Wall, i belgi Emile de Laveleye e Louis Muhlinghaus, il danese Ludwig Sylow, il suo connazionale Carl Kornerup ( che rappresenta la Svezia), l’olandese Carl Walter Hirschmann, gli austriaci Hugo Meisl e D. Aheles, i francesi Charles Simon e H. Brame, gli ungheresi Béla Karpaty e Nandor Friedrich, lo svizzero Paul Buser, il tedesco Rob Heimer. Fanno gli onori di casa i dirigenti italiani Luigi Bosisio, Giuseppe Hess e Arturo Baraldi, che accompagnano i giocatori dello Zurigo. Questi ultimo, il giorno dopo, lunedì di Pentecoste, avrebbero affrontato una selezione di giocatori milanesi (risultato finale 1-1).
IL MECCANICO E IL MANAGER
Al riposo, l’Italia conduce sulla Francia di due lunghezze. Il belga Muhlinghaus è colpito dalla classe del mediano sinistro Domenico Capello, che reputa il giocatore italiano di maggior classe. Forse pensa che sia un esperto professionista e non sa che il torinese, che fa il meccanico alla Fiat, ha appena 21 anni e gioca in II Divisione, nel Piemonte. Capello sta per passare ufficialmente al Torino. Poi andrà alla Juventus, dove percepirà rimborsi spese che il Guerino giudicherà «molto simili a uno stipendio ». Morirà nel 1926, a soli 37 anni, di tubercolosi.
La ripresa è iniziata da soli 3 minuti quando Bellocq accorcia per i galletti, ma la gioia dura solo 10’ perché Lana, servito da Varisco, sigla il 3-1. La Francia reagisce e riduce di nuovo con una punizione di Ducret. Due giri di lancette e Rizzi, su un rilancio di Calì e dopo una corta respinta di Tessier, azzera le velleità di rimonta ospite. L’uomo che sigla il 4-2 è un “giramondo” che parla tedesco, francese, inglese e russo, tesserato per la piccola Ausonia di Milano.
Rizzi, nato a Verona 24 anni prima, aveva vissuto da giovane in Svizzera, dove il padre, impresario edile, si era trasferito per lavoro.
Ha completato gli studi alla Oberreal Schule di Basilea, prima di essere assunto dalla Manifattura Italiana Carlo Sacchetti (crine e lane per materassi, pelli per pellicceria) dove fu promosso direttore commerciale e vi lavorò ininterrottamente per 50 anni, fino a che gli fu conferita la Stella d’Oro.
VERSO IL TRIONFO
L’Italia dilaga e il 5-2 lo firma un geometra. Enrico Debernardi, 24enne ala destra, fondatore del Torino Fc. Nel 1902 aveva tirato i primi calci con l’Audace, del quartiere di San Salvario. Durante la Grande Guerra lavorerà al Dinamitificio Nobel di Avigliana.
Siamo ormai agli sgoccioli e arriva il 6-2 finale, su rigore, dopo che un tiro di Bojocchi è stato fermato con le mani da un difensore. Tira Lana, che corona così la sua giornata di gloria con una magnifica tripletta. Almeno lui è un professionista del pallone? Tutt’altro: ha 20 anni, gioca da mezzala sinistra, è un patito della montagna e lavora alla Pirelli, dove diventerà direttore dello spaccio aziendale. Cresciuto nelle file dei “liberi”, nel 1909 era passato con l’amico Renzo De Vecchi al Milan, dove rimarrà fino al 1914. Il suo nome figura nell’atto di fondazione dell’Inter (1908), ma non vestì mai il nerazzurro; anzi, era stato suo il primo gol milanista in un derby ufficiale, il 10 gennaio 1909.
Sono quasi le 6 di sera quando arriva il triplice fischio finale. Invasione di campo e giocatori trasportati negli spogliatoi dalla folla festante. In trionfo ci sono anche altri tre milanesi “doc”: Francesco Varisco (23 anni) è il terzino destro, ma nella Us Milanese giocava anche in attacco. Ragioniere alla Verdolac (vernici), farà parte della Commissione azzurra nel 1920. Adorava le bocce. Il 22enne Attilio Trerè, mediano destro e “proteiforme atleta dai baffi a manubrio”, era dell’Ausonia, dove era approdato con il fratello Alessandro, dopo aver “rotto” con il Milan; nel 1906, aveva vinto il titolo giocando da portiere. Si riappacificherà con i rossoneri ad autunno 1910 e nel 1914 sarà allenatore dell’Aurora di Busto Arsizio, la “nonna” della Pro Patria. Ardente e impetuoso interventista, aderirà agli Arditi di Filippo Corridoni e poi al Partito nazionale fascista. Contro i francesi rimase inutilizzabile per tutta la ripresa, mentre nella trasferta di Budapest del 26 maggio delizierà i compagni di viaggio in treno con una valigia colma di bottiglie di vino, scatole di conserva, salumi e formaggi. Sulla sua morte in una clinica di Roma, nel 1943, campeggia un alone di mistero.
DENTRO LA STORIA
Un altro bel personaggio, il nostro primo centravanti, era Aldo Cevenini I (20 anni), nato casualmente ad Arona, sul Lago Maggiore. Secondogenito di un ferroviere emiliano e di una casalinga spezzina, aveva ben 4 fratelli calciatori (Ciro Mario II, Luigi III, Cesare IV e Carlo V, mentre il capostipite Pietro non si era mai dedicato al football). Dopo aver fondato la Minerva Fc con Fossati, rimase al Milan fino al 1912, anno del passaggio all’Inter. Vinse con i nerazzurri il torneo 1919-20 e, con la Novese, il titolo Figc 1921-22. Tanto focoso in campo (due fratture alle gambe, tre denti persi in uno scontro) quanto mite fuori, era un compagno socievole e una buona forchetta. Nel 1921 fece parte della commissione azzurra. Lavorava come incisore a bulino su rame e il suo medico gli aveva consigliato di praticare il calcio per non stare sempre seduto. Quel giorno, con una caviglia in disordine, non avrebbe dovuto giocare: strinse i denti e fece in modo di esserci a tutti i costi. Forse era l’unico a immaginare che il suo nome sarebbe finito sui libri di storia...