Il Cesena in testa alla classifica di A riporta alla mente l'epopea del Cesena anni Settanta, costruito con pazienza e competenza da Dino Manuzzi: un presidente che capì prima di molti altri che la provincia poteva rappresentare una ricchezza e non un alibi per giustificare la sudditanza verso le grandi tradizionali. Imprenditore nel settore agricolo, Manuzzi rilevò il club dal conte Rognoni nel 1964 e dopo qualche anno fra B e C approdò in A (1973) con in panchina un Gigi Radice che tre stagioni più tardi avrebbe vinto lo scudetto con il Torino.
Da Radice la panchina passò ad Eugenio Bersellini, altro emergente che di lì a qualche anno avrebbe vinto anche lui lo scudetto (Inter 1979-80) e poi a Pippo Marchioro con il quale il Cesena visse la sua stagione di maggior gloria. Nel 1975-76 infatti i bianconeri arrivarono sesti, qualificandosi per la Coppa Uefa. Era la squadra dei romagnoli ma anche dell'usato sicuro, con Manuzzi che intuì le motivazioni di campioni come Cera (dal Cagliari) e Frustalupi (dalla Lazio). Marchioro la fece giocare a zona, all'epoca quasi un'eresia, ma con il libero (Cera) staccato, trasformando ogni allenamento in uno spettacolo: fra il training autogeno (il migliore in materia era il portiere e futuro medico Lamberto Boranga) e la musica classica, uniti ad essercizi ispirati a quelli del grande Ajax di qualche anno prima. Con i gol, non tanti, di Urban e Bertarelli il miracolo diventò realtà.
Marchioro andò poi a giocarsi (male, esonerato alla fine del girone di andata) la chance della vita al Milan e allenatore diventò Giulio Corsini: una memorabile doppia sfida con il Magdeburgo e l'eliminazione dalla Uefa, seguita da una retrocessione in B e da un graduale disimpegno di Manuzzi che nel 1979 avrebbe passato il testimone al nipote non ancora mito di Mai Dire Gol Edmeo Lugaresi. Un altro dal grande occhio visto che sulla panchina del suo Cesena si sedettero, ben prima di arrivare in alto, Osvaldo Bagnoli, Albertino Bigon e Marcello Lippi.