Guardando ieri sera la Domenica Sportiva, ospite Sinisa Mihajlovic, mi sono perso in uno strano parallelismo tra lui ed Edy Reja, che in quei minuti festeggiava un meritato primo posto dopo il prezioso successo di Bari. Tanto era sicuro il serbo, malgrado l'ultimo posto in classifica, tanto era pacato e modesto il friulano, che parlava di salvezza e umiltà della squadra nonostante il primato davanti a Inter e Milan. La conclusione è che nel calcio l'esperienza conta ancora qualcosa. E che bisognerebbe farne tesoro.
Reja ha iniziato nel Molinella, Serie D alle porte di Bologna. Mihajlovic ha cominciato direttamente nel Bologna, in Serie A. Edy ha avuto come seconda squadra il Monselice, Serie C2, aspettando quasi dieci anni prima di godere di una piccola chance in B. Sinisa ha avuto come seconda squadra il Catania, sempre in A, e come terza la Fiorentina, forse la quinta o sesta forza dell'intero campionato.
Percorsi diversi, con modi di fare e atteggiamenti molto differenti.
Quando Mihajlovic si è presentato in estate a Firenze, dovendo gestire la difficile eredità di Prandelli, ha sproloquiato di Champions da conquistare a tutti i costi e di calciatori da prendere a pedate nel sedere. «Andiamo a Valencia per vincere» disse alla prima amichevole, poi persa nettamente. Reja, che già l'anno scorso aveva salvato la Lazio con buonsenso e saggezza, ha continuato a mantenere un profilo basso, senza proclami o fanfaronate. Stili diversi in tutto, persino nella scelta della sciarpa. Voluminosa l'uno, sobria l'altro.
Risultato: Fiorentina ultima, Lazio prima. Dove sta l'errore?