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Ragazzo di suburbio

1 - Il racconto della vita incredibile di Ronaldo, partendo proprio dall'inizio. Da quella casa di Bento Ribeiro, non lontana da dove è nato Zico, e dal difficile rapporto con il padre Nelio...

Redazione

1 febbraio 2011

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Una cosa è la favela, altra è il suburbio. Per la mentalità primomondista sono entrambi sinonimi di povertà e tristezza, chi conosce il Brasile sa che non è così. Sono alveari di popolo diseredato, ma con grandi differenze tra loro. La favela è quanto di peggio si possa immaginare: case fatte di lamiera e legno, incrostate sulle colline, appoggiate sul fango, senza acqua corrente né servizi sociali. Spesso anche senza legge, nel senso che lì i poliziotti non possono entrare se non in assetto di guerra. Il suburbio è un gradino più su, anche se i brasiliani direbbero tre o quattro gradini, rispetto alla favela. Ci sono case in muratura, sia pure di bassa qualità, c’è una parvenza di urbanizzazione civile. Nella favela riescono a essere felici con una caramella, nel suburbio ogni tanto possono permettersi un gelato. Questa premessa è d’obbligo, per entrare nel mondo di Ronaldo. Non era un favelante come il suo collega Adriano, era un ragazzo di suburbio. Esattamente nato a Bento Ribeiro, quartiere della zona nord-ovest di Rio de Janeiro, abitato dalla classe medio-bassa e bassa. I suoi confini sono delimitati dalla ferrovia Central do Brasil e dai viali Marechal Hermes e Oswaldo Cruz. Il nome Bento Ribeiro deriva da un certo Bento Manuel Ribeiro Carneiro Monteiro, che era il prefetto (più o meno l’equivalente del nostro sindaco) della città di Rio ai tempi della fondazione di questo quartiere, che è molto vicino al Quintino dove è nato Zico. Oggi a Bento Ribeiro risiedono circa 50mila abitanti, fra di loro non c’è più nessuno che faccia parte della famiglia di Ronaldo. Parliamo dei parenti in linea diretta, ai quali il Fenomeno ha regalato case adeguate al nuovo censo. I bambini di quella zona sognano solamente di ripetere le gesta di un idolo nato proprio a due passi da loro, ma il cordone ombelicale è stato tagliato da tempo. Da quando venne lasciata libera quella casa bianca e brutta posta su una strada in salita e con un albero di mango nel cortile spoglio: una stanza, un piccolo soggiorno e il bagno. Nei giorni di pioggia c’erano infiltrazioni terribili. L’infanzia di Ronaldo non è stata facile. Per parecchio tempo non ha avuto un letto proprio, si accontentava di dormire sul divano del soggiorno. Il padre Nelio se ne andò da casa molto presto per pesanti contrasti con la madre Sonia Barata. I motivi del contendere erano legati al comportamento del signor Nelio, di certo non irreprensibile. Ben presto dunque la famiglia Nazario de Lima si ridusse da cinque a quattro persone: mamma Sonia, la primogenita Ione, il secondogenito Nelio Junior detto Nelinho e il piccolo Ronaldo Luìs. A proposito di quest’ultimo, la leggenda vuole che sia nato con un parto difficile e sia stato chiamato così dal nome del ginecologo che lo fece nascere. Non ci sono conferme ufficiali, ma è tutto molto verosimile e molto brasiliano. Così come molto brasiliana è la vicenda umana di papà Nelio, di professione venditore ambulante (camelò, si dice in Brasile con un’espressione gergale) che non sapeva stare lontano dall’alcol ma ebbe almeno il merito di attaccare la passione del calcio al figlio minore. Lui che in gioventù era stato difensore della Portuguesa, non quella famosa che ha sede a San Paolo ma una piccola Portuguesa di Rio. Secondo alcuni psicologi brasiliani molti complessi che hanno turbato la vita del Fenomeno sono nati dal pessimo rapporto con il padre, che dopo essersi allontanato dalla famiglia le tolse anche il sostegno economico (in Brasile le leggi sulle separazioni non tutelano molto mogli e figli) e che si sarebbe fatto di nuovo vivo solo dopo l’esplosione calcistica del figlio. La pace con papà Nelio non ha portato grandi benefici a Ronaldo, che anzi qualche volta è stato costretto a levare dai guai lo sprovveduto genitore. Ad esempio quando un poliziotto vide cadere una busta di polvere bianca da un taxi su cui il padre d’arte più noto del Brasile stava viaggiando. La vita era già molto dura con la famiglia al completo, figuriamoci dopo la fuga del padre. Mamma Sonia in questa fase acquisisce un alone che sfiora la santità. Tra lei e il piccolo Ronaldo si creò un legame fortissimo e quasi indissolubile. Anche perché pur essendo bambino il piccolo di casa si rese conto di quanto la mamma si desse da fare. Lavorava dalla mattina alla sera, mai meno di dodici ore al giorno, facendo quello che poteva. Le biografie agiografiche dicono che facesse l’infermiera, in realtà per un certo periodo ha lavorato in un ospedale ma come inserviente. La sua occupazione più importante è stata quella di commessa in una gelateria, per un misero salario. Ma c’erano quei tre figli da tirare su, non esistevano alternative. Il vero problema era cercare di controllarli. Il piccolino non aveva tanta voglia di studiare, spesso marinava la scuola per andare a giocare a pallone. Poi mamma Sonia lo scopriva e ogni volta era una sgridata: <>. La lezione veniva recepita poco, il richiamo del campo era troppo forte anche perché ogni tanto ricompariva papà Nelio e incoraggiava il ragazzo a seguire il suo cuore. Un giorno la signora arrivò a chiedere un anticipo sullo stipendio pur di regalare un paio di chuteiras (così si chiamano in Brasile le scarpe da calcio) al pargolo. Tensioni sociali e soprattutto familiari: cominciano ad affiorare i primi sintomi di un malessere che in realtà caratterizzerà il Fenomeno per il resto della vita, provocando anche all’interno della sua personalità alcune contraddizioni stridenti. Un giorno, quando già giocava ad Eindhoven, Ronaldo tornò a casa con un regalo costoso per la mamma e le disse: <>. Questa tendenza a rinfacciare agli interlocutori, soprattutto alle persone amate, i propri meriti lo avrebbe accompagnato per sempre. Enzo Palladini (tratto dal libro 'Paura del buio - Biografia non autorizzata di Ronaldo', editore Indiscreto)

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